Zaffra tradì Bettino

21.05.2013 13:25

 

Loris Zaffra era l’uomo che doveva succedere a Mario Chiesa. Ex sindacalista, socialista emergente, capogruppo del Psi al Comune di Milano, entra nel ristretto gruppo dei fedelissimi di Craxi e diventa il possibile candidato, dopo la caduta di Mario Chiesa, a diventare sindaco di Milano. Ma è anch’egli arrestato per tangenti, il 30 luglio 1992. Craxi e i dirigenti socialisti difendono strenuamente il loro compagno e rilasciano alla stampa dichiarazioni di fuoco contro i magistrati della Procura milanese: è la prima reazione organizzata contro Mani pulite, che raggiunge i toni più drammatici quando, nell’estate 1992, tre indagati si tolgono la vita.
Tra questi, il parlamentare socialista Sergio Moroni, che si uccide il 2 settembre nella sua casa di Brescia, dopo che gli erano già stati recapitati tre avvisi di garanzia.

Prima della morte, invia al presidente della Camera Giorgio Napolitano una lettera in cui, ammettendo di aver avuto un ruolo nel sistema di finanziamenti illeciti che sostenta i partiti italiani, protesta contro ciò che gli sembra essere una decimazione casuale della classe politica: «Non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito di vittime sacrificali. (...) Non lo accetto nella serena coscienza di non aver mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flessibile, non resta che il gesto». 
Dopo quella drammatica estate, Zaffra, considerato un «irriducibile», smentisce egli stesso il suo leader, confessando la sua partecipazione al sistema delle tangenti e concorrendo a determinare il secondo avviso di garanzia a Craxi. Non solo: in un’intervista a Marcella Andreoli su Panorama del 24 gennaio, Zaffra ricapitola la sua vicenda e ribalta sui compagni di partito l’accusa di aver emarginato gli indagati, anche quelli che poi si sono tolti la vita. Racconta: arrestato una prima volta, era uscito dal carcere senza aver parlato.

«Venivo guardato come un essere strano, miracolato, proprio perché ero stato anche a San Vittore». Poi, la svolta: «Avevo l’impressione di essere fuori dal mondo, di essere l’unico rimasto a presidiare un palazzo deserto, mi sono sentito in una trincea vuota. E dopo tanti giorni di carcere ho capito che stavo combattendo una battaglia persa in partenza. La reazione del sistema era assolutamente ipocrita. Aveva ragione il povero Sergio Moroni, quando nella sua lettera, scritta prima del suicidio, aveva parlato di «ruota della fortuna»: sei stato preso, peggio per te. Con Moroni ne avevamo discusso la scorsa estate. Aveva molto sofferto per il cordone sanitario che gli era stato fatto attorno. Tangentopoli ha messo a nudo, oltre al giro delle tangenti, la slealtà dei rapporti politici: sei stato arrestato? peccato per te, entri nel cesto delle mele marce. Gli altri, che con te hanno diviso errori e responsabilità, si girano dall’altra parte. Inaccettabile”. 


Zaffra rifiuta anche la teoria craxiana del complotto: «Ero in carcere quando scrisse, ad agosto, quei tre famosi corsivi contro l’inchiesta Mani pulite e contro il giudice Di Pietro. Sbaglia. Non dovrebbe prendere scorciatoie e vedere complotti dietro l’angolo, giudici mossi da scopi politici. È vero, i magistrati possono abusare dello strumento della carcerazione preventiva, ma non estorcono false confessioni: alla fin fine l’imputato racconta la verità. Sarà amaro ammetterlo, ma è così».

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