Si ritorna a sparare

21.05.2013 13:01

 

 

La sentenza del maxi processo, segnò anche la fine della tregua che Cosa Nostra aveva instaurato nella guerra ai suoi nemici. Fallito il tentativo di addomesticare il giudizio della corte, venne meno ogni remora prolungatasi per tutto il corso del processo. Nell’arco di sole due giornate del gennaio del 1988, a nemmeno un mese dalla sentenza, le appendici armate dell’esercito mafioso colpiscono a morte. Il giorno 12 viene assassinato Giuseppe Insalaco, da pochi mesi sindaco di Palermo. Insalaco, acerrimo avversario politico di Salvo Lima e Vito Ciancimino, aveva denunciato senza esitazioni i condizionamenti che i vari comitati d’affari della città, esercitarono sulle istituzioni comunali.

Nemmeno 48 ore dopo è l’agente di polizia Natale Mondo ad essere ucciso a Palermo. Con una determinazione rabbiosa e crudele, i killer della mafia non perdonano al poliziotto di essere sopravvissuto all’agguato dove avevano perso la vita nell’agosto del 1985, il vice questore Nini Cassarà e l’agente Roberto Antiochia.

Da gennaio, il 1988 scivola verso settembre, ed un nuovo triplice omicidio viene commesso nell’arco di due giorni, anche se in Sicilia in questi mesi i morti saranno a decine. Lungo la strada che da Canicattì conduce ad Agrigento, nella giornata del 25 rimangono sul terreno il presidente della Corte d’Appello di Palermo Antonino Saetta ed il figlio disabile Stefano.

Il tribunale di Cosa Nostra ritiene il giudice Saetta, colpevole per aver condannato in appello i capi mafia Michele e Salvatore Greco per l’attentato a Rocco Chinnici, nonché i killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, assassini questi, scandalosamente assolti in primo grado, anche se il processo era stato annullato dalla Cassazione. Saetta inoltre, si apprestava a presiedere l’appello del maxi processo.

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