Profitti e perdite - Le estorsioni
21.05.2013 12:50
Le estorsioni sono un altro paio di maniche. Praticate in modo sistematico, costituiscono un mezzo efficace per consolidare il controllo sul territorio – obiettivo primario di ogni «famiglia» Procurano, in un certo senso, oltre che redditi non disprezzabili, il riconoscimento concreto dell'autorità mafiosa. La pratica ha assunto forme e connotazioni diverse con il passare degli anni.
Agli inizi il racket veniva attuato con un certo pudore, sotto mentite spoglie, quasi cercando possibili giustificazioni: si chiedeva un «contributo» a un negoziante invocando, per esempio, la necessità per l'organizzazione di provvedere ai bisogni di chi stava in prigione. In cambio dei versamenti, un tempo molto meno diffusi di quanto si ritiene, la vittima dell'estorsione riceveva la garanzia effettiva da parte di Cosa Nostra che la sua bottega o la sua attività di artigiano sarebbero state protette. Le dichiarazioni dei pentiti Marino Mannoia, Calderone e altri, rivelano che non era infrequente il caso che la mafia eliminasse piccoli malviventi responsabili di avere provocato disordini in quartieri controllati da una certa famiglia alla quale i negozianti avevano regolarmente versato il pizzo o la tangente.
Oggi la tangente o l'estorsione si riducono spesso a un semplice riconoscimento quasi soltanto formale dell'autorità di una data famiglia su un determinato territorio, ma non garantiscono la protezione. Per il commerciante sono diventate un costo supplementare, aggiunte al normale rischio di rapine, furti e così via. Il che prova che il rapporto tra criminalità comune e mafia è cambiato, o meglio che Cosa Nostra manifesta una certa benevolenza nei confronti dei criminali minori. Un tempo il mafioso lasciava pochi margini di manovra ai ladri, oggi ne favorisce le azioni.
Si è trattato, a mio modo di vedere, di una precisa scelta ispirata dai «Corleonesi» che hanno dato via libera ai ladruncoli, teppisti, malviventi da strapazzo, a Palermo come a Catania e altrove, sia per invischiare la repressione poliziesca nella caccia a ai piccoli delinquenti, sia per mettere nei guai le famiglie delle grandi città, lasciando invece maggiore libertà di azione alla periferia. E senza dire che costituiscono il vivaio di cultura delle nuove leve della mafia, sempre più spregiudicate, sempre più feroci ed assetate di ricchezze.. La pratica dell'estorsione si è quindi distaccata dalla necessità di sopravvivenza(«ci dia un piccolo contributo per i nostri carcerati») e di protezione, e si è trasformata in un semplice mezzo per raccogliere denaro senza offrire in cambio le garanzie di un tempo. Capita così che i commercianti paghino due, tre, quattro tangenti a gruppi diversi. È un caso frequente specialmente in Campania, dove la camorra si è parcellizzata.
E pensare che, secondo il racconto di Buscetta, il suo capo famiglia, Gaetano Filippone, negli anni Cinquanta, consigliava ai suoi uomini di andare a fare gli acquista nel negozio di un piccolo commerciante squattrinato che aveva pochi clienti... Non cito questa storia per fare del colore sulla «buona» mafia del passato, ma solo per ricordare che un tempo aveva una strategia precisa di senso opposto a quella attuale. Semplice. Voleva mantenere buoni rapporti con i dettaglianti, con coloro che era costretta a frequentare tutti i giorni, riservandosi di ricavare profitti più sostanziosi dalle grosse imprese. C'è da aggiungere che allora i bisogni e le esigenze della società – e quindi della mafia – non erano tali da richiedere forti entrate. La diffusione del consumismo di massa ha cambiato tutto nel contesto sociale e di conseguenza anche in Cosa Nostra, la cui evoluzione procede parallelamente.
Oggi in pratica quasi tutti pagano la tangente. Il libro mastro scoperto nel covo segreto di Francesco Madonia nel dicembre 1989 contiene un lungo elenco di coloro che a Palermo producono o svolgono una professione o il commercio e che pagano. Accanto ad alcuni nomi si legge perfino Lit. 400.000 o Lit. 600.000 il mese. Sembrano cifre irrisorie, poche centinaia di migliaia di lire, e in parecchi ci hanno riso sopra: «Ma, allora, i grandi Madonia si accontentano di briciole!». Non sono briciole. Riscuotendo queste somme modeste, i Madonia assicuravano l'autofinanziamento del proprio esercito, della loro base, della loro manodopera: gente utilizzata per «lo spaccio» o come copertura di grandi delitti e che ogni mese riceveva uno stipendio. Come il palermitano Vincenzo Sinagra, divenuto poi un pentito, che pur non essendo uomo d'onore riceveva un salario mensile: una specie di factotum che stazionava in piazza Scaffa, a Palermo, in attesa delle piccole incombenze (compresi gli omicidi) che gli venivano affidate.
La tangente serve oggi a finanziare gli strati più bassi dell'organizzazione, la manodopera di Cosa Nostra, e il mondo che le ruota attorno. Serve anche ad assicurare delle opportunità di profitto, come prova l'assassinio di alcuni imprenditori tra i quali Libero Grassi, ucciso il 29 agosto 1991 non tanto, questa volta, per le centinaia di mila lire che rifiutava di pagare, quanto per il «cattivo esempio» che dava all'insieme del mondo produttivo.
Oggi comunque, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, secondo quanto accertato dagli inquirenti, la tendenza è verso una diminuzione delle richieste di tangenti di importo considerevole. Brutto segno: se le tangenti del racket diminuiscono – o meglio si trasformano – ciò può significare che il mafioso tende a trasformarsi lui stesso in imprenditore, a investire in imprese e profitti illeciti del traffico di droga. La crescente presenza di Cosa Nostra sul mercato legale non rappresenta un segnale positivo per l'economia in generale.
Cerchiamo di immaginarlo questo mafioso, divenuto capitano d'industria. Ricco, sicuro di poter disporre di una quantità di denaro che non ha dovuto prendere in prestito e che quindi non deve restituire, si adopera per creare, nel suo settore di attività, una situazione di monopolio, basata sull'intimidazione e la violenza. Se fa il costruttore, amplierà il suo raggio di azione fino a comprendervi le cave di pietra, i depositi di calcestruzzo, i magazzini di materiale sanitario, le forniture in genere e anche gli operai. In una simile situazione perché mai dovrebbe occuparsi delle estorsioni? Gli altri proprietari di cave, gli industriali del cemento e del ferro verranno a poco a poco inglobati in una rete monopolistica sulla quale egli eserciterà il controllo. Leonardo Greco, rivenditore di tondini di ferro per l'edilizia di Bagheria (Palermo), non chiedeva nulla ai colleghi, ma faceva in modo di piazzare i suoi prodotti presso tutti gli imprenditori della zona palermitana, mafiosi e non. Ecco come l'imprenditore mafioso modifica il panorama economico legale.
La tendenza alla diminuzione delle estorsioni mette in luce un fatto inquietante e cioè che la criminalità organizzata, su cui noi non riusciamo ad esercitare un efficace controllo, può permettersi il lusso di passare ad attività più lucrose e apparentemente lecite mentre continuiamo a combatterla sul vecchio terreno: non a caso la tendenza alla diminuzione del pizzo risulta più evidente dove la presenza e le pressioni mafiose sono più forti. Non a casa a tale fenomeno si accompagna anche una diminuzione degli omicidi e delle azioni criminali particolarmente eclatanti.
Occorre allora, cercare altrove una chiave di interpretazione convincente. L'infiltrazione mafiosa nel mercato legale, accompagnata da una concentrazione delle azioni criminali, per lo meno di quelle più eclatanti – evidente a Palermo più che ne resto della Sicilia -, nonostante gli indubbi risvolti positivi, rappresenta, lo ripeto, un fenomeno estremamente inquietante. Attendo il sociologo che sosterrà la tesi che una siffatta situazione proverebbe la graduale evoluzione della criminalità organizzata e la sua dissoluzione nella società civile per effetto del miglioramento del livello di vita!
No,non facciamoci illusioni: il mafioso che si è arricchito illegalmente e si è inserito nel mondo economico legale – e ancor più di lui i suoi discendenti – non costituisce segno del riassorbimento e del dissolvimento della mafia nell'alveo della società civile. Né oggi, né domani. Perché il mafioso non perderà mai la sua identità, continuerà sempre a ricorrere alle leggi e alla violenza di Cosa Nostra, non si libererà della mentalità di casta, del sentimento di appartenenza a un ceto privilegiato. Gli Inzerillo, gli Spatola, i Teresi erano tutti imprenditori assai competenti nel loro campo, l'edilizia. Ma rimanevano mafiosi. Rosario Spatola aveva esordito professionalmente negli anni Cinquanta come lattaio ambulante. Aveva anche ricevuto una contravvenzione perché allungava il latte con acqua. Questo stesso Spatola riuscì ad aggiudicarsi il più grosso appalto di lavori pubblici di Palermo: l'edificazione di 422 appartamenti per conto dell'IIstituto case popolari di cui era presidente Vito Ciancimino. Se alle qualità imprenditoriali si aggiungono le conoscenze giuste ….
Non si può sostenere che i mafiosi non lavorino, che si accontentino di gestire le loro rendite vivendo di ricatti e minacce. Non è vero, lavorano, fanno fruttare il capitale, comportandosi da persone serie. Michele Greco, detto «il Papa», sbrigava un bel po' di incombenze sulle terre, dimostrando per di più una grossa competenza in materia agraria. Come Rosario Spatola nel campo dell'edilizia.
Quando si è membri di Cosa Nostra e si ricorre alla violenza e all'intimidazione, è molto più facile imporsi sul mercato. I mafiosi lo fanno e continueranno a farlo fino a quando esisterà la mafia. Nel corso della mia carriera ho visto parecchi morti di fame trasformarsi in ricchi imprenditori. Ma nessuno che abbia rinunciato all'affiliazione o all'uso dei metodi mafiosi. E lo stesso vale per i loro figli. Questa è una verità che dà la misura delle difficoltà della lotta alla mafia: se si trattasse di banditismo o di gangsterismo urbano le cose sarebbero di gran lunga più semplici!
Soffermiamoci un momento sul parassitismo economico di Cosa Nostra. Ci si domanda: ma se questi mafiosi sono così intelligenti, così duttili e intraprendenti, perché mai preferiscono vivere come parassiti? La risposta è semplice: perché è più facile.
In Sicilia per quanto uno sia intelligente e lavoratore, non è detto che faccia carriera, non è detto neppure che c'è la faccia a sopravvivere. La Sicilia ha fatto del clientelismo una regola di vita. Difficile, in questo quadro, far emergere pure e semplici capacità professionali. Quel che conta è l'amico o la conoscenza per ottenere una spintarella. E la mafia, che esprime sempre l'esasperazione dei valori siciliani, finisce per fare apparire come un favore quello che è il diritto di ogni cittadino.
Detto questo, che cosa significa parassitismo? Una volta la mafia esercitava la «guardiania», imponendo i suoi uomini ai grandi proprietari ed estorcendo loro denaro, anche quando non chiedevano sorveglianza e protezione. Si appoggiava alle attività produttive altrui, non producendo niente in proprio. Oggi – ne ha pregevolmente scritto il sociologo Pino Arlacchi – l'organizzazione parassitaria ha subito un profondo mutamento. Il mafioso non si maschera da imprenditore: è diventato un vero imprenditore, che sfrutta il vantaggio supplementare rappresentato dalla sua appartenenza a Cosa Nostra. Mutamento, questo, conseguente all'arrivo di un enorme flusso di denaro prima dal contrabbando di tabacco e poi dal traffico di droga.
La Sicilia è una terra dove, purtroppo, la struttura statale è deficitaria. La mafia ha saputo riempire il vuoto a suo modo e a suo vantaggio, ma tutto sommato a contribuito a evitare per lungo tempo che la società siciliana sprofondasse nel caos totale. In cambio dei servizi offerti (nel proprio interesse, non c'è dubbio) ha aumentato sempre più il proprio potere. È una realtà che non si può negare.
Il concetto di parassitismo va quindi rivisto, insieme con la inevitabile dicotomia tra vecchia buona mafia e presunta nuova mafia. Negli ultimi vent'anni mafiosi, dotati di intelligenza vivace, di grande capacità lavorativa e di una notevole abilità organizzativa, dopo avere notevolmente accresciuto le loro possibilità di investimenti, sono potuti entrare direttamente nel mondo economico legale impiegandovi risorse illegali e perpetuando se stessi. E di qui la continuità dei comportamenti mafiosi e l'abitudine, diffusissima in Sicilia, ma anche in altre regioni d'Italia, di appropriarsi del bene pubblico.
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