Profitti e perdite - Appalti e subappalti

21.05.2013 12:52

 

Parlando dei guadagni della mafia, non possiamo dimenticare gli appalti e i subappalti. Mi chiedo anzi se non si tratta degli affari più lucrosi di Cosa Nostra. Il controllo delle gare d'appalto pubbliche risale a molte decine di anni fa, ma oggi ha raggiunto dimensioni impressionanti. Non importa se l'impresa che si è aggiudicata i lavori sia siciliana, calabrese, francese o tedesca: quale che sia la provenienza, l'impresa che vuole lavorare in Sicilia deve sottostare a talune condizioni, sottostare al controllo territoriale della mafia.

Il condizionamento delle gare di appalto si realizza sia nella fase di aggiudicazione dei lavori (gli imprenditori mafiosi conoscono i meccanismi e sono in gradi di influire sui funzionari preposti alle gare di appalto) sia nella fase di esecuzione delle opere. Chiunque si occupi di lavori pubblici, in Sicilia e nel Mezzogiorno in genere, sa benissimo di dover acquistare il materiale dal tale fornitore e non dal talatro. Negli anni Settanta, la costruzione dalla impresa Graci di Catania di una diga sul fiume Olivo, in provincia di Enna, diede il via a una impressionante catena di omicidi. Che cosa era successo? Secondo quanto riferito da Antonino Calderone, una famiglia criminale locale, non appartenente a Cosa Nostra, aveva avuto la pretesa di imporre i propri fornitori là dove la mafia affermava di dover essere la sola a garantire la «protezione» dell'impresa Graci.

Non c'è quindi da stupirsi che le imprese mafiose assumano gradualmente in prima persona il controllo delle gare per gli appalti pubblici. Hanno in mano una carta vincente: la capacità di scoraggiare qualsiasi concorrente con l'intimidazione e la violenza; la facoltà, sempre attraverso l'intimidazione, di non rispettare le norme collettive sull'edilizia né leggi sulla sicurezza del lavoro; la possibilità di accedere a crediti agevolati, e addirittura di non ricorrervi investendo nei lavori parte del denaro sporco proveniente dal traffico di droga.

Quanto è accaduto e continua ad accadere nel campo degli appalti smentisce tutte le teorie secondo cui il decollo socioeconomico della Sicilia avrebbe portato automaticamente alla scomparsa della mafia. Cosa Nostra ha saputo invece innestarsi nello sviluppo, deviandone il corso degli effetti. La sola possibilità per lo Stato di segnare un'inversione di rotta sembra consista nel garantire un livello minimo di convivenza sociale, per citare Rousseau. Una delle pre-condizioni, delle clausole fondamentali di un simile contratto di convivenza consiste nell'assicurare l'applicazione della legge e nel contrastare efficacemente la criminalità. Se non si realizzano queste condizioni, è inutile rifugiarsi nell'illusione generosa che lo sviluppo possa cancellare come per magia la mafia.

Siamo giunti al punto che qualsiasi intervento economico dello Stato rischia soltanto di offrire altri spazi di speculazione alla mafia e di allargare il divario tra Nord e Sud. Lo stesso dicasi dei contributi a fondo perduto. Soltanto una politica di incentivazione, purché ben gestita, può ottenere a mio avviso effetti positivi.

È fin troppo chiaro a quali fini immediati, tipicamente pre-elettorali, dall'orizzonte limitato a qualche mese o qualche settimana risponda la scelta politica degli stanziamenti di aiuti: per i partiti, il Mezzogiorno è spesso solo un serbatoio di voti. Ma fino a quando si può battere questa strada? Fino a quando potrà andare avanti la «meridionalizzazione» di certi partiti? E che cosa accadrà sul mercato comunitario?

Ecco la ragione per cui la teoria delle due Italie, un'Italia europea al Nord e una africana al Sud, potrà essere seriamente contestata soltanto dopo la sconfitta della mafia che, ripristinando le condizioni minime per un'accettabile convivenza civile, permetterà di gettare le basi dello sviluppo futuro.

In Sicilia e in Calabria gli episodi di frode ai danni della CEE, secondo quanto denunciato dagli organismi comunitari, sono, si dice, numerosi: secondo l'esposto della Commissione, il numero delle truffe perpetrate nelle due regioni supera di sette volte la media europea. Sembra strano, ma a tutt'oggi non siamo ancora riusciti a sapere il numero esatto dei processi né in quali tribunali si sono svolti né tantomeno come si sono conclusi.

Su questo tema il pentito Salvatore Contorno mi ha raccontato una storia significativa. Come è noto, la Comunità europea concede un indennizzo per la distribuzione degli agrumi in eccesso. Bè, dice Contorno, tutti sanno all'interno di Cosa Nostra che la mafia è implicata fino al collo nella distribuzione di agrumi da cui ricava sensibili profitti.

Fonti autorevoli assicurano che se fossero realmente stati distrutti tutti i carichi di agrumi indicati, una Sicilia interamente ricoperta da aranceti e limoneti non sarebbe sufficiente a garantire la produzione necessaria per distribuzioni così imponenti!

—————

Indietro