Mafia e Massoneria

21.05.2013 12:07

 


Riteniamo che la profonda comprensione del fenomeno mafioso contemporaneo, richieda la conoscenza dei passaggi chiave che hanno segnato l’Italia per consegnarla al nostro presente. La parentesi compiuta sulla massoneria ha rappresentato la sintesi di una lunga pagina oscura, dalla quale in molti sostengono che l’Italia non sia ancora uscita. La riprova di quanto lo Stato e le sue Istituzioni si siano intrecciate all’illegalità e al potere malavitoso, ci conduce ad un’altra associazione che abbiamo già ampiamente conosciuto: la Mafia è una delle componenti basilari di tale potere. 


La capacità di Cosa Nostra di infiltrarsi in questo meccanismo già così profondamente deviato, gli ha consentito di ampliare a dismisura il suo potere.
Il legame tra Mafia e massoneria non fu episodico, perché come spiegò un pentito «è nella massoneria che si possono acquisire i contatti totali con imprenditori, istituzioni, e gli uomini che amministrano il potere».
Fu così che nel corso di tutti gli anni ’70, illustri uomini d’onore entrarono a far parte delle logge, e quasi sempre con un ruolo «dominante» , dove il flusso delle informazioni seguiva sempre una unica direzione: «il mafioso può sapere del massone, mentre il massone non può sapere del mafioso». 


Un esempio di tali infiltrazioni dai lucrosi immensi benefici, è rappresentato dai cugini Nino e Ignazio Salvo. Essi prestarono giuramento alla massoneria e alla mafia e dal 1959, fino all’inizio degli anni ’80, controllarono un cartello dedito alla riscossione delle tasse dirette e indirette, funzione pubblica che in Sicilia era assegnata in appalto ad aziende private. Grazie a l’intervento di Salvo Lima e di altri «Giovani Turchi», la mafia dei cugini Salvo fece ricavi enormi mediante l’esattoria: decine e decine di milioni di dollari che si sommarono all’accaparramento di enormi cifre provenienti da contributi europei, stanziati per le aziende agro industriali fondate con i ricavi esattoriali stessi. 


La DC siciliana provvide a garantire la copertura politica necessaria a tale «circolo virtuoso», operando in cambio di generose mazzette ma non solo. I membri delle giunte regionali e comunali infatti, nell’isola erano scelti in gran parte da Cosa Nostra e leader Democristiani in seduta congiunta, annullando di fatto il confine tra i due poteri. Risulta improprio parlare di semplici collusioni tra mafia e politica, perché in molti contesti siciliani, dinanzi alle scelte prioritarie in materia di politica economica, le decisioni vengono prese di comune accordo. 


Un terno di smisurato potere quello esercitato da politici, massoni e mafiosi, in grado di sbancare le ruote italiane della legalità in ogni istituzione e campo.
Quando nel 1982 il giudice Giovanni Falcone puntò il mirino delle proprie inchieste contro i cugini Salvo, si apprestava a sferrare un attacco frontale a Cosa Nostra e all’intero panorama delle forze che la supportavano. 
Nel prossimo capitolo intanto, entreremo nel vivo di quello scontro intestino noto come «La seconda guerra di mafia».

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