Lo sbarco degli “alleati”.
19.05.2013 12:33
Si dice che la mattina del 14 luglio 1943 un aereo da caccia americano sorvolasse Villalba. Naturalmente la gente uscì in strada, quando l'aereo si abbassò fin quasi a sfiorare i tetti delle case, si poté scorgere, attaccata alla fusoliera, una bandiera color giallo oro con una grande «L» al centro. Passando sopra la casa appartenente al parroco, Monsignor Giovanni Vizzini, il pilota lasciò cadere un pacchetto, che fu però intercettato da un soldato e da questi consegnato al comandante della stazione dei carabinieri.
Quattro giorni prima era scattata l'«Operazione Husky»; 160.000 soldati alleati erano sbarcati su un ampio tratto della costa sudorientale della Sicilia; seguirono quindi altri 300.000 combattenti americani e britannici. Per la prima volta gli Alleati avevano invaso il territorio di una potenza dell'Asse.
Villalba, situata proprio al centro dell'isola, non poteva certo dirsi un obiettivo primario strategico, eppure l'aereo da caccia tornò l'indomani, sempre con l'inconsueto stendardo. Fu lanciato un altro pacco, che sta volta arrivò nelle mani della persona giusta. Il suo involucro di nylon portava scritte le parole siciliane «zu Calò» («zio Calò»), che era il boss mafioso don Calogero Vizzini, il fratello maggiore del prete. La busta fu raccolta dal cameriere dei Vizzini, che la consegnò al suo padrone, la quale conteneva un foulard di seta giallo oro con una grande «L» nera al centro. Si racconta ce quella stessa sera un uomo a cavallo lasciasse Villalba con un messaggio per un certo «zu Peppi» a Mussomeli. Ed ecco il testo del messaggio: «Curatulu Turi partiva cu li vutiddazzi, pi la fera di Cerda martidì iornu 20. Iu partirò lo stissu iornu cu li vacchi, li voi di carrozzu e lu tavaru. Priparati l'ardimi pi fari lu fruttu e li mannari pi riparari li pecuri. Avvertiti l'autri curatuli di tinirsi pronti. Pi lu quagghiu ci pinsavu iu»1.
La lettera esa scritta in un codice che aveva una semplicità da Vecchio Mondo. Il destinatario, «zu Peppi», era «zio» Giuseppe Genco Russo, boss di Mussomeli. Lo s'informava che Turi (un altro mafioso) avrebbe guidato le divisioni motorizzate americane («li vutiddazzi») fino a Cerda. Quanto a lui, don Calogero Vizzini sarebbe partito quello stesso giorno con il grosso delle truppe («li vacchi»), i carri armati («li voi di carrozzu») e il comandante in capo («lu tavaru», ossia il toro). I mafiosi sotto il comando di Genco Russo dovevano preparare il campo di battaglia («l'ardimi pi fare lu fruttu») e i rifugi per la fanteria («li mannari pi riparari li pecuri»).
Il pomeriggio del 20 luglio tre carri armati si presentarono rombando alle porte di Villalba. Sulla torretta del primo carro sventolava lo stesso vessillo giallo con la grande «L» nel mezzo. Un ufficiale americano si affacciò al portello. Con un accento siciliano alterato dagli anni trascorsi negli Stati Uniti, chiese rispettosamente di don Calò. La notizia raggiunse il vecchio capomafia nella sua casa. Mancavano quattro giorni al suo sessantacinquesimo compleanno. Sentendo che erano arrivati gli americani, attraversò con passo strascicato il paese in maniche di camicia e occhiali da sole cerchiati di tartaruga, le bretelle impegnate a trattenere un paio di pantaloni stazzonati ben al di sopra della massiccia prominenza del ventre. Raggiunti gli americani, mostrò senza far parola il foulard di seta raccolto dal suo cameriere, salì sul carro insieme col nipote (che era rientrato da poco dagli Stati Uniti, e parlava inglese) e partirono.
Intanto a Villalba i mafiosi cominciarono a illustrare il significato di queste meraviglie alla gente del paese. Fù spiegato che don Calò aveva contatti nelle alte sfere del governo americano, che era arrivato a lui per il tramite di Charles «Lucky» Luciano (di qui la «L» sulla bandiera). Luciano era stato alsciato dalla sua prigione dove stava scontando la sua pena proprio per organizzare l'aiuto della mafia all'invasione. E qualcuno arrivò a dire che nel carro armato che aveva portato via don Calò c'era anche lui, il famoso gangster italo-americano. In omaggio alla sua grande autorità, l'uomo di rispetto di Villalba era stato scelto, su consiglio di Lucky Luciano, per guidare l'avanzata americana.
Sei giorni più tardi don Calò tornò a Villalba su una grossa automobile americana. La sua missione era compiuta: un movimento a tenaglia eseguito alla perfezione aveva riunito a Cerda «li vutiddazzi», «li vacchi» e «li voi di carrozzu», completando così la conquista alleata della Sicilia centrale. Ora don Calò, forte dell'appoggio degli amici americani, era pronto a restituire alla mafia il posto che le spettava nella società siciliana dopo i giorni bui del fascismo.
1 Pantaleone, Mafia e politica, p. 63.
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