L'invidia

21.05.2013 12:36

 

 

La nascita del pool antimafia scosse dalle fondamenta il Palazzo di giustizia di Palermo e non solo. Era una novità che rimetteva in discussione i meccanismi che regolavano una istituzione di natura ultra conservatrice quale era la giustizia.

In un mondo dove l’anzianità di servizio, costituiva il parametro largamente prioritario per una carriera che mirava al sogno malcelato di molti, il CSM ( Consiglio Superiore della Magistratura), e dove il merito sul campo passava decisamente in sub ordine, una simile novità divenne un boccone indigesto per tanti.

Cresceva la inquietudine di chi per invidia, gelosia, codardia, temeva di perdere gli agi e i benefici della sua condizione presente. Larghe aree della base dell’Associazione Nazionale Magistrati, esercitò pressioni sui propri rappresentanti al vertice, perché si aprissero discussioni e dibattiti sulla questione. Su Caponnetto piovvero critiche di ogni genere: alcune, in netta minoranza frontali ed in buona fede, affrontavano temi di natura giuridica; moltissime e più subdole, si arrampicarono su qualsiasi specchio pur di attaccare per partito preso.

Per tanti si delineava un pericolo insostenibile: appartenere alla corrente per il giusto tempo con a capo l’opportuno referente, poteva non bastare più per meritare avanzamenti di carica e di stipendio. Un vero problema esistenziale per coloro che ritenevano una placida vita spesa in magistratura, come l’onesto compenso per i sacrifici spesi nel lungo iter di studi per conseguire la laurea.

La stampa svolse un ruolo di rilievo, alimentando la surreale campagna a sostegno del principio che i giudici non dovevano scendere in campo in prima persona, ma amministrare la giustizia da terze figure imparziali.
Caponnetto e i suoi uomini, come si sol dire, non fecero una piega. Le critiche lanciate contro di loro per cavalcare meri interessi di parte, s’infransero contro il muro eretto di chi era consapevolmente nel giusto. Giuseppe Ayala scrive ritornando su quel periodo: «Presi atto che chi come noi, stava provando a cambiare sul serio le cose, mettendo in gioco la propria qualità della vita, se non peggio, non era disprezzato, più semplicemente non era gradito perché si rischiava di creare troppi problemi ad un assetto di potere le cui regole erano ben definite, e dovevano essere difese da ogni interferenza e carica innovativa».

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