L'indignazione di Borsellino
21.05.2013 13:02
Mentre le armi da fuoco mafiose riprendono a seminare morte, l’ufficio istruzione processi di Palermo è oggetto di una profonda opera di ristrutturazione da parte del nuovo direttore Antonino Meli. Dinanzi a tutto questo, Paolo Borsellino che già dalla fine del 1986 si era trasferito a Marsala quale procuratore Capo della Repubblica, rompe il silenzio su quanto sta avvenendo dietro alle quinte della giustizia italiana. La sua intervista al quotidiano «La Repubblica», del 20 luglio 1988, ottiene l’effetto di una deflagrazione che scuote il palazzo della magistratura. In quelle parole Paolo fuse tutta la sua fermezza, l’onestà intellettuale, e secondo il giudice Ayala anche «le palle».
Secondo Borsellino si stavano perpetrando evidenti tentativi di smantellare in via definitiva il pool antimafia, con l’effetto di creare un vuoto nella lotta alla mafia che riportava la situazione indietro di quasi venti anni. «Il giudice Falcone», prosegue Borsellino, «non è più il titolare delle grandi inchieste che iniziarono con il maxi processo, la polizia non sa più nulla dei movimenti di Cosa Nostra».
La strategia investigativa subisce un netto distacco con l’era del pool. Oggi tutti si occupano di tutto e le inchieste, prima accentrate su Palermo, vengono ora sminuzzate in più tronconi smarrendone la visione d’insieme, proprio come accadeva venti anni addietro. Il procuratore di Marsala etichetta tutto questo con un «succedono cose molto strane».
Nel ricordare a tutti come l’ultimo dossier di mafia degno di tale nome, risalga a ben sei anni prima, sottolinea come egli si sia trasferito a Marsala non per isolarsi, ma per continuare a combattere la mafia, e motiva la scelta di uscire allo scoperto e denunciare queste cose, con «perché dopo tanti anni di lavoro, prigioniero del bunker di Palermo tutto questo non sembra più possibile e intanto Cosa Nostra si è riorganizzata, come e più di prima».
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