L'indignazione del dottor Galati

18.05.2013 09:47

1.

 

 

Nel 1872 il dottor Galati si trovò ad amministrare un patrimonio ereditato dalle sue figlie e dalla loro zia materna. Il suo prezzo più pregiato era il Fondo Riella, un'azienda agricola di quattro ettari che produceva limoni e mandarini ed era situata a Malaspina, a soli quindici minuti da Palermo. Il Fondo era un'impresa modella: le sue piante venivano irrigate mediante una moderna pompa a vapore da 3CV che richiedeva un operatore specializzato.

Quando il dottor Galati assunse il controllo del Fondo, sapeva bene che il gigantesco investimento era in pericolo, poiché il precedente proprietario, suo cognato, era morto per un attacco di cuore in seguito alle lettere minatorie ricevute. Due mesi prima di morire, il precedente proprietario, aveva saputo dall'operatore della pompa a vapore che a spedirgli le lettere ara stato il guardiano del Fondo, Benedetto Carollo, un uomo a cui certo non mancava l'insolenza: Galati racconta che si pavoneggiava in giro come se fosse il padrone dell'azienda, e secondo la voce corrente intascava il 20-25 per cento del prezzo di vendita del prodotto; non solo, ma rubava addirittura il carbone destinato alla pompa a vapore. Era tuttavia il modo in cui Carollo rubava che aveva causato le preoccupazioni più grosse al cognato del dottor Galati; dopodiché all'atto di assumere il controllo dell'azienda Riella in sostituzione del cognato, il dottor Galati, dopo una serie di innumerevoli furti mirati a deprimere il valore dell'azienda, decise di risparmiare guai affittandola; ma Carollo, che la pensava diversamente, quando si presentava una potenziale affittuario a vedere il Fondo, mentre lo conduceva in giro gli chiariva con grande energia le sue idee al riguardo: «per il sangue di Giuda, quel giardino non si sarebbe mai gabellato, né venduto». Era troppo per il dottor Galati che licenziò Carollo e cercò un sostituto. Stranamente, alcuni amici intimi di Galati, gente che non aveva motivo di essere al corrente dei suoi affari, lo avvicinarono consigliandoli in confidenza di riprendersi Carollo. Ma il chirurgo tenne duro.

Il 2 luglio 1874, l'umo che Galati aveva assunto come nuovo guardiano viene colpito da parecchie pallottole nella schiena mentre percorreva una delle anguste strade che passavano tra i giardini dei limoneti. Gli aggressori avevano usato delle pietre per innalzare una piattaforma all'interno di un altro limoneto, in modo da poter sparare da dietro il muro di cinta.2 Poche ore dopo, la vittima moriva in un ospedale palermitano.

Il figlio del dottor Galati si presentò alla locale stazione di polizia per riferire il sospetto della famiglia che dietro l'assassinio ci fosse Carollo. Un ispettore ignorò l'indicazione, e arrestò due uomini che non avevano alcun legame con la vittima e che in seguito furono rilasciati perché non erano state prove contro di loro.

Malgrado la mancanza di appoggio da parte della polizia, Galati assunse un altro guardiano. A questo punto lui e i suoi famigliari ricevettero una serie di lettere in cui si diceva che aveva sbagliato a licenziare un uomo d'onore come Carollo e ad assumere al suo posto un'infame spia.Il chirurgo tornò dalla polizia con le lettere minatorie: sette in tutto. Gli fu promesso che Carollo e i suoi complici, tra i quali c'era un figlio adottivo dell'ex guardiano, sarebbero stati arrestati. Ma l'ispettore, lo stesso che in precedenza aveva indirizzato le indagini su una falsa pista, non si mostrò troppo zelante e passarono tre settimane prima che si decidesse a mettere sotto chiave Carollo e il figlio, i quali furono peraltro rilasciati dopo un paio di ore perché, si disse, non avevano niente a che fare con il delitto in questione. Galati si convinse che l'ispettore era in combutta con i criminali.

Mentre si batteva per salvare la sua azienda, il dottor Galati cominciò a farsi un'idea sul modus operandi della mafia locale. La “setta” o meglio “cosca” aveva la sua base nel vicino villaggio dell'Uditore, e agiva sotto la copertura di un'organizzazione religiosa. In paese un prete ed ex monaco cappuccino noto come padre Rosario dirigeva una piccola confraternita, i «Terziari di San Francesco d'Assisi», ufficialmente impegnata in opere di carità e nell'assistere la Chiesa nel suo lavoro. Non solo, ma padre Rosario, un uomo con un passato da spia della polizia sotto il vecchio regime borbonico, era anche cappellano della prigione, e approfittava di questo ruolo per portare messaggi dal mondo esterno ai detenuti, e da questi al mondo esterno.

Ma non era padre Rosario il capo della banda. Il presidente dei «Terziari di San Francesco d'Assisi», nonché boss mafioso dell'Uditore, era Antonio Giammona.

La mafia dell'Uditore basava il suo potere sulla gestione di racket della protezione di limoneti. Poteva costringere i proprietari terrieri ad accettare i suoi uomini come fattori, guardiani e intermediari. La sua rete di contatti con carrettieri, grossisti e portuali era in grado di minacciare la produzione di un'azienda agricola, o di assicurarne l'arrivo sul mercato. Una volta assunto il controllo di un fondo, i mafiosi potevano rubare a loro piacimento, puntando a rastrellare una confortevole “rendita” parassitaria, oppure ad acquistarlo a un prezzo artificiosamente basso. Galati non era l'unico bersaglio di Giammonea, il quale stava attuando una campagna concertata per mettere le mani sull'industria agrumaria dell'intera area dell'Uditore.

Resosi conto che la mafia esercitava un'influenza sulla polizia locale, Galati decise di referire le sue informazioni circa l'omicidio direttamente a un magistrato inquirente. La sua fermezza si rafforzò quando delle sette lettere minatorie la polizia gliene restituì soltanto sei – quella che esprimeva termini più espliciti era andata “perduta”. Dal magistrato inquirente Galati si sentì dire che in quel commissariato una siffatta “incompetenza” era moneta corrente. Giunsero nuove lettere minatorie, che davano a Galati una settimana per sostituire in nuovo guardiano con un “uomo d'onore”. Ma il chirurgo era rinfrancato dal sapere che le sue denunce avevano condotto all'allontanamento dell'ispettore di polizia da lui sospettato di collusione con la mafia. Non solo, ma a suo giudizio non era probabile che la mafia si arricchisse a uccidere. Decise dunque di ignorare l'ultimatum. Nel gennaio 1875,subito dopo la sua scadenza, il nuovo guardiano fu raggiunto in pieno giorno da tre pallottole. Benedetto Carollo e altri due ex lavoratori del Fondo Riella furono arrestati come persone sospette. Sulla scia dell'attentato, ecco arrivare il primo colpo di fortuna del dottor Galati: prima di crollare per le ferite, il guardiano aveva potuto vedere e riconoscere i suoi assalitori. In un primo momento nel suo letto d'ospedale si rifiutò di rispondere alle domande della polizia. Poi, col crescere della febbre e – sembrava – l'avvicinarsi della morte, mandò a chiamare il magistrato inquirente e fece una dichiarazione: gli uomini che gli avevano sparato addosso erano proprio i tre che erano stati appena arrestati.

Incoraggiato dal magistrato Galati si occupò personalmente del guardiano ferito, accudendolo giorno e notte. Non usciva mai senza la sua rivoltella, e teneva la moglie e le figlie in casa. Le lettere minatorie continuavano ad arrivare, e l'atmosfera familiare aveva cominciato a soffrirne. Il dottor Galati, dicevano le lettere, sarebbe stato pugnalato insieme con la moglie e le figlie, magari mentre uscivano dal teatro: evidentemente i ricattatori sapevano che il chirurgo aveva un abbonamento per la stagione. I mafiosi informarono inoltre Galati che avevano accesso ai particolari delle sue dichiarazioni; il chirurgo venne così a sapere che nell'ufficio del magistrato c'era una spia della mafia. Ciò nondimeno, in queste ultime missive ricattatorie sembrava di poter cogliere un senso di disperazione, e ciò alimentò in Galati la speranza che con un'indagine in piena regola in corso e un testimone pronto a parlare, Benedetto Carollo sarebbe stato finalmente messo contro le spalle al muro. Ma a questo punto il guardiano ferito e curato da Galati assunse il controllo della situazione. Appena fu in grado di muoversi, si presentò a Giammona chiedendogli di concludere la pace. Fu allora invitato a celebrare l'accordo con un banchetto, dopodiché mutò la sua deposizione, e il caso contro Carollo si sgonfiò.

Senza neppure aspettare il tempo necessario per salutare i parenti e gli amici, il dottor Galati riunì la famiglia e fuggì a Napoli, lasciandosi alle spalle i suoi beni e una platea di pazienti che aveva costruito in venticinque anni di lavoro. In questa situazione, tutto ciò che poté fare fu inviare nell'agosto 1875 un memorandum al ministro dell'interno a Roma. Vi raccontava che l'Uditore era un paese di appena 800 anime; eppure egli era a conoscenza di almeno ventitré persone assassinate (tra le quali due donne e due bambini) nel solo anno 1874, più dieci tentati omicidi le cui vittime avevano riportato gravi ferite. Nulla era stato fatto per indagare su questi delitti. Era in corso una guerra dell'industria agrumaria dell'area, e le forze di polizia non muovevano un dito.

Il ministro dell'Interno ordinò al questore di Palermo di indagare sulla faccenda, e il caso Galati fu affidato a un funzionario di polizia giovane e capace. Emerse che, come il suo predecessore assassinato, anche il secondo guardiano assunto in situazione di Carollo era un personaggio molto pericoloso. Il dottor Galati non lo sapeva, o forse non voleva ammetterlo, ma è probabile che entrambi i guardiani da lui assunti dopo il licenziamento di Carollo fossero anch'essi affiliati alla mafia e quindi è probabile che in tutta la vicenda egli fosse stato uno strumento in una guerra tra cosche mafiose rivali.

La mafia dell'Uditore reagì alla nuova inchiesta sfoggiando le sue amicizie. Benedetto Carollo chiese il permesso di cacciare nel Fondo Riella; ebbene, il suo compagno di caccia in quella giornata era un giudice della Corte d'Appello di Palermo.Una sfilza di proprietari terrieri e di uomini politici si schierarono a fianco di Antonio Giammona. Gli avvocati prepararono una dichiarazione in cui si sosteneva che Giammona e il figlio erano stati perseguitati solo perchè erano economicamente indipendenti e non erano disposti a farsi derubare né a subire prepotenze. In conclusione, una diffida della polizia e un'intensificazione della sorveglianza furono l'unica risposta che le autorità riuscirono a mettere insieme.

Analizzando3 la storia del dottor Galati ritroviamo tutti gli elementi mafiosi:La gestione del racket della protezione, assassino, dominio del territorio, competizione e collaborazione tra bande, e perfino un embrione di “codice d'onore” e soprattutto il legame mafioso- politico. Il dottor Galati sicuramente si rendeva conto di fare una battaglia di tipo generale. Partiamo dalla sua personale esperienza: In primis il fatto che alcuni sui amici intimi, gente che non aveva motivo di essere al corrente dei suoi affari, lo avvicinarono consigliandoli in confidenza di riprendersi Carollo, poi l'ispettore prima ignora la confessione del figlio di Galati e successivamente scarcera Carollo dopo aver visionato le 7 lettere minatorie recapitate a casa Galati. Galati era indignato: non solo difendeva un suo interesse, ma anche la legge quale la si ritrovava nei codici, quella che era affermata nelle carte fecondative del Regno d'Italia. Galati denunciava l'esistenza di trame, la tolleranza della pubblica autorità nei confronti dei mafiosi, la collusione mafiosa . Possiamo individuare l'episodio del dottor Galati come una protoantimafia, un'antimafia molto consapevole visto che rivendicava un diritto, infatti il signor Galati protestava contro la diminutio del diritto di proprietà, derivante dai condizionamenti mafiosi. I proprietari erano il fondamento dell'opinione pubblica e delle pubbliche libertà, questo lo sanno bene i mafiosi, infatti alla fine nessuno dei proprietari veniva ammazzato. Il capomafia Giammona, di cui Galati lamentava le prepotenze, non risulta abbia mai fatto degli attentati veri e propri contro i proprietari, certo le intimidazioni nei suoi confronti sono arrivate, ma come abbiamo visto Galati era rimasto vittima di una guerre di cosche senza neanche saperlo.

Il signor Galati si rivolgeva a funzionari di polizia e aveva i suoi referenti all'interno del mondo delle istituzioni: in una città in cui votavano poche centinaia di persone, il dottor Galati con i suoi parenti e clienti costituiva un notevole serbatoio elettorale, di certo riceveva la giusta attenzione. Qui siamo di fronte ad un'antimafia individuale del dottor Galati, cioè del proprietario terriero che tenta di difendere se stesso. Piuttosto, non appena alcuni dei suoi accoliti minacciavano di rapire i figli di illustri personaggi, lui li fece ammazzare. aveva ben chiaro che il suo compito era quello di mantenere l'ordine, condizionando i proprietari ma senza scontrarsi con loro perché altrimenti ne sarebbe uscito con le ossa rotte.

L'avvocato di Giammona, nel patrocinare il suo assistito, lo descriveva come un grande difensore dei diritti di proprietà. E probabilmente non a torto perché Giammona contemporaneamente difende i diritti di proprietà se i proprietari sono suoi amici, ma ciola quegli stessi diritti dei proprietari non amici. Naturalmente se deve costruire una propria immagine esterna, si mantiene sul primo versante. Fa la sua mossa, quando esibisce nell'aula del processo la lettera di raccomandazione di Turrisi Colonna, che già conosciamo come illustre uomo politico e, soprattutto, grande proprietario terriero. Cosa scrive Turrisi Colonna? Leggiamo: Giammona è sempre stato una persona di mia fiducia e ha sempre difeso le istituzioni.

Un altro elemento importante che compare nella storia del dottor Galati è l'omertà. Pitrè la chiamerà omineità4, cioè virilità, sarebbe insomma un maschio al cubo, che non tollera le offese e quindi qualche volta può esagerare nella reazione.

 

1La storia del dottor Galati è tratta dall'Archivio Centrale dello Stato, Direzione Generale Affari Penali, Misc., 1863-1925, b. 4, f.558. 1877 rapporti del Procuratore capo al ministro della Giustizia.

2Alongi G., Manuale di Polizia scientifica, Milano 1898 – Un metodo impiegato molto spesso nelle azioni della mafia delle origini.

3Analisi tratta da: Salvatore Lupo, Potere criminale, Intervista sulla storia della mafia, Bari, 2010.

4 La parola, invece, viene da umiltà, terminologia di derivazione massonica, che vuole indicare la regola dell'obbedienza all'interno di un'organizzazione segreta – proprio quanto si voleva occultare.

 

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