L'entrata della DC.
19.05.2013 12:40
Il contributo più rilevante di don Calò alla rinascita della mafia fu la sua influenza politica. Egli fu infatti intimamente coinvolto nel processo il cui esito fu, nella Sicilia post-bellica, una sistemazione favorevole alla mafia. Questa sistemazione vide la scomparsa del separatismo e l’emergere di un nuovo partito pan-italiano pronto a utilizzare la mafia nella maniera tradizionale: come strumento di governo locale.
Nel settembre 1945, don Calò fu l’unico mafioso presente a una riunione della ledersi separatista, cui fu presa la decisione di scatenare un’ insurrezione armata. Era una mossa nata dalla disperazione. L’appoggio americano ai separatisti era svanito dopo la fine dell’AMGOT. E ora avevano di fronte un nuovo concorrente: la Democrazia cristiana, un forte partito nazionale. Proponendo, con successo, un’assemblea regionale per la Sicilia anziché la piena indipendenza, la Democrazia cristiana aveva indebolito grandemente il separatismo. La presenza di don Calò alla riunione era dovuta al fatto che i separatisti avevano bisogno di lui per ottenere l’aiuto delle grosse masnade di banditi che scorrazzavano tuttora per le campagne. Ma le forze dell’insurrezione furono sconfitte senza difficoltà.
Sulla scia della disfatta separatista, in don Calò si rafforzò la convinzione che la Democrazia cristiana rappresentava il migliore strumento a difesa dei suoi interessi. Per il vecchio boss, e per la mafia, si trattava di compiere, sia pure gradualmente, un decisivo passaggio di campo. Alcuni politici democristiani erano destinati a diventare i mediatori elettivi tra la criminalità organizzata siciliana e il potere romano, e conservare questo ruolo per oltre quarant’anni.
La Democrazia cristiana non era affatto una pura facciata della mafia. Nel momento in cui nacque la Repubblica italiana, essa rappresentava i valori della famiglia, la propietà privata e la pace sociale; in Sicilia attirava specialmente i piccoli contadini timorosi del comunismo. La DC godeva inoltre di un vantaggio formidabile: il sostegno del Vaticano. Una volta cominciata la Guerra Fredda (1947), potè inoltre contare sull’appoggio americano in funzione anticomunista. Sempre nel 1947, il leader della Democrazia escluse i partiti di sinistra dal governo di coalizione del paese. Nella primavera del 1948 si svolsero in Italia le prime elezioni parlamentari dopo l’instaurazione del regime mussoliniano. Il risultato fu un trionfo della DC, che avrebbe governato ininterrottamente per i successivi quarantacinque anni.
Agli occhi della mafia l’attrattiva essenziale della Democrazia cristiana erano le arti tradizionali della politica basata sui favori. La DC fini col diventare una congierie di innumerevoli fazioni locali fondate sul clientelismo. E i capi delle fazioni erano in grado di offrire proprio quel tipo di rapporti personali che i mafiosi prediligevano. Fu infine possibile ripristinare quelli scambi tra uomini politici e criminali che erano diventati cosi difficili sotto il fascismo: una mano lava l’altra, secondo il detto siciliano.
In quegli anni, quando uomini politici e boss si trovavano insieme, spesso ci tenevano a essere visti, perché gli incontri pubblicizzavano la solidità dell’alleanza tra il potere informale dei boss e il potere ufficiale dei nuovi magnati della politica. Fu la DC a condurre finalmente in porto nel 1950 la riforma agraria. Il modo in cui lo fece era tipico dei suoi metodi. La distribuzione dei latifondi superstiti fu affidata a un comitato di nomina governativa che diventò una fonte di potere clientelare per i politici democristiani locali. La corruzione era endemica. I costi amministrativi assorbivano un terzo dei fondi disponibili. Nel frattempo molti proprietari terrieri si rassegnarono all’inevitabile, e cominciarono a sbarazzarsi delle loro terre. E spesso vendettero ai mafiosi, incluso don Calò, il quale realizzò profitti enormi rivendendo gli appezzamenti ai singoli contadini.
Nel 1950 il governo annunciò inoltre un massiccio programma d’investimenti in favore dell’arretrata economia meridionale. Si sarebbe trattato di una svolta di prima grandezza nella storia della mafia. D’ora in avanti per accedere alle grandi fonti di ricchezza in Sicilia l’organizzazione avrebbe dovuto rivolgersi non ai proprietari terrieri, ma ai politici professionali. Il ripristino del sistema democratico in Italia e del ruolo della mafia come il governo informale della Sicilia era ormai quasi completo.
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