«L'eco» di Falcone
21.05.2013 13:03
Le parole di Borsellino erano al banco, ma in luogo della attesa e risentita reazione di chi era stato chiamato in causa, vi fu un generale silenzio. Nessuna reazione da parte di un CSM, dove pareva che nessuno leggesse «La Repubblica». Fu necessario l’intervento del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che intimò ai ministri di Interni e Giustizia, chiarimenti su quanto espresso da Borsellino. Solo allora il CSM anticipò tutti, approvando un documento che votato dalla maggioranza dei consiglieri, reputava infondate le accuse di Borsellino.
Giovanni Falcone che aveva commentato l’azione dell’amico come «Un errore, un generoso errore», rimane vittima di inevitabili e fortissime pressioni, in risposta alle quali inoltra lettera di dimissioni al presidente del tribunale di Palermo. Falcone motiva il suo gesto come una conseguenza delle divergenze sulla conduzione della gestione delle istruttorie antimafia. Una scelta sulla quale non pesò la sua mancata nomina, nonostante le infamanti calunnie e la campagna denigratoria mosse nella sua direzione in quella occasione. La decisione è il risultato di riflessioni profonde, condizionata da quella che fu una collettiva manovra strumentale, tesa a stravolgere il senso di ogni denuncia mossa dai protagonisti dell’era del pool.
Giovanni sostiene appieno le parole di Borsellino, «della cui amicizia mi onoro», sottolineandone la forza, il senso dello Stato ed il coraggio: «le omissioni e inerzie nella repressione del fenomeno mafioso sono sotto gli occhi di tutti».
Il giudice che il mondo intero ci invidiava, chiede di essere trasferito in quanto non può più tollerare ciò che i suoi occhi vedono ogni giorno: uno Stato che ha deciso di non combattere più la mafia con le armi che l’avevano messa in ginocchio; un ambiente giudiziario munito di una tale bassezza morale, da escogitare continui pretesti diffamatori e strumentali per isolare chi quegli strumenti li aveva creati.
Ciò nonostante, generando forse maggiore sorpresa delle attese e per alcuni sperate dimissioni, alcuni giorni dopo Falcone torna sui suoi passi, ritirando la domanda di trasferimento. Le motivazioni del suo dietro front furono oggetto di malignità, chiarite apertamente solo alcuni anni dopo, a morte avvenuta, e sarà ancora una volta Paolo Borsellino a parlare, pochi settimane prima della sua scomparsa.
Nel corso di una dichiarazione pubblica a Palermo del 25 giugno 1992, a riguardo della sua intervista a «La Repubblica», il magistrato disse che Giovanni aveva ritirato le sue dimissioni per gettare acqua sul fuoco e raffreddare lo scontro con il CSM. Attrito che con ogni probabilità avrebbe condotto alla perdita del posto per Borsellino stesso, quale viatico ad un successivo attacco a Falcone. Si trattava di un estremo gesto per non fornire ulteriori pretesti ai tanti nemici in agguato nel palazzo, perché come aggiunse Borsellino, se «il pool antimafia deve morire davanti a tutti, non deve morire in silenzio».
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