Le inquietudini di Falcone e Bosellino

21.05.2013 13:17

 

All’indomani della morte di Salvo Lima, Falcone e Borsellino confessarono all’amico Giuseppe Ayala le loro inquietudini. Essi presagivano che qualcosa di molto grave stava maturando nell’aria. Da tempo i due magistrati erano sottoposti alla pressione frutto della convivenza con il pensiero di una morte incombente. Una fine che poteva sopraggiungere all’improvviso, strappandoli senza appello agli affetti più cari. Mai questo influì sul loro impegno professionale e sulla loro lucidità. Purtroppo quelle sentenze di morte in cantiere da anni vennero deliberate da Riina e i vertici di Cosa Nostra e con esse gli specifici piani esecutivi per metterle in pratica.

Ma alla luce di ciò che sta emergendo dalla riapertura delle inchieste sulle stragi del 1992-93 avviata dalla magistratura di Caltanissetta nel 2009, l’intero piano stragista potrebbe aver goduto del sostegno non solo mafioso. Gli elementi sembrano profilare la sussistenza di una sorta di antistato, un nucleo di potere deviato operante in seno alle istituzioni. Alcuni lo definiranno «entità», altri «grumo». Certamente qualcuno che aveva accesso privilegiato alle indagini e che ha provveduto a falsare prove e testimonianze, nel corso di un lungo ventaglio di anni, come ci ha già sottolineato Giuseppe Ayala in passato, è esistito. 


Aldilà di quanto ancora la storia dovrà annotare, quei giorni significarono momenti devastanti per le istituzioni dello Stato così come Cosa Nostra. La scelta di Riina priverà l’Italia di uomini straordinari, ma al contempo creerà condizioni che condurranno anche l’organizzazione sulla soglia del collasso.

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