Le conclusioni

21.05.2013 11:47

Molti membri della Commissione erano uomini che cercarono di rendere questo organismo, uno strumento che agisse nell’interesse nazionale, ma il loro lavoro non fu semplice. Pensate che nel 1972, un nuovo governo entrò in carica con tra le sue fila figure come Salvo Lima (Sottosegretario alle Finanze), e Giovanni Gioia (Ministro Poste e Telecomunicazioni). Uno dei sostenitori di Gioia venne nominato Commissario Antimafia, quando mesi prima era stato indagato dalla stessa Commissione. L’interesse nazionale di combattere la mafia, venne congelato dallo spirito di fazione. Nel 1976 l’Antimafia terminò il suo lavoro, partorendo una montagna di carte tra rapporti e relazioni, provvisorie e finali. Dalle tante pagine emergeva della mafia «l’uso sistematico della violenza inaudita e cruenta»; il suo «rapporto parassitario con il mondo degli affari»; i suoi «legami con il governo locale e nazionale»; il «tacito accordo che esiste tra le cosche anche quando si combattono senza esclusioni di colpi». Le conclusioni furono contraddittorie, e anche se contennero tutto il necessario per farsi una idea abbastanza chiara di tutte le correlazioni del crimine mafioso, costituirono una mole di documenti troppo vasta per raggiungere il fine previsto: portare alla luce le «connessioni politiche» promesse alla partenza.
Se rapportati alle attese e alle speranze del 1963, i risultati furono molto deludenti, ma bisogna riconoscere che la Commissione Antimafia contribuì a formare la consapevolezza collettiva sul problema. Ad uno zoccolo di persone non nutrito ma compatto, non era più possibile dire che la mafia non esisteva. In conclusione, 13 anni di tale lavoro aveva ottenuto che per i politici apertamente collusi con la mafia, si presentava un rischio di immagine prima inesistente. Non era molto, ma quanto meno era un risultato conquistato attraverso mezzi democratici.

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