L'altra faccia della medaglia
21.05.2013 13:00
Questa è la realtà a lungo occultata, che si è mossa alle spalle di chi invece la mafia aveva scelto di combatterla a viso aperto. Uomini provvisti di un con coraggio indicibile, che hanno sacrificato per decenni la vita privata e la tranquillità familiare. Milioni di frammenti di una esistenza normale per chiunque, conditi dalla paura e dall’ansia per le conseguenze che le scelte professionali prese, potevano abbattersi sulla vita di mogli, compagne e figli.
Una famiglia che si allargava all’improvviso da un giorno all’altro, quando la crescente qualità del tuo lavoro, li trasformava in possibile obbiettivo di un attentato, e una scorta di angeli custodi diveniva loro compagna di vita. A questi uomini tante volte veniva posta una domanda semplice e terribile: «Ma chi te lo fa fare?».
La risposta a volte usciva di scatto, in un moto istintivo e spontaneo, forte come l’attaccamento al senso di giustizia e smisurato come l’amore per la propria terra. In altre occasioni il responso galleggiava sospeso nell’aria, minacciato dalla paura, sfidato dal più temibile dei pensieri: percepire che il sacrificio risultasse inutile. Ma nonostante questo in tanti hanno proseguito la loro strada, marciato su di un lungo percorso irto e faticoso, impregnato di sforzi e sofferenze ripagati spesso dalla sola, ferma, presa di coscienza nel fare ciò che era giusto, sentimento a volte insufficiente a premiarli con la sopravvivenza.
Il nostro è uno strano paese, un luogo dove un uomo può morire più volte, prima per mano dei nemici che combatteva per affermare la giustizia, e dopo per l’azione di chi ne ha infangato e tradito la memoria. Una politica nazionale che ha continuato a partorire una classe dirigente povera di coscienza morale. Esponenti che si sono bagnati le labbra con il nome dei martiri per mano mafiosa al fine di conseguire consensi, ed un attimo dopo ne hanno ingannato la memoria continuando a stringere turpi alleanze.
Generalizzare è un errore, e le porzioni sane del sistema che si sono spese a favore di una aperta lotta alla criminalità organizzata sono per fortuna sopravissute, pur trattandosi di percentuali più o meno estese, in luogo della essenziale totalità. Ma se questo è accaduto e continua ad accadere, ognuno di noi non può esimersi da colpe. Viviamo in una terra dove il valore della memoria e l’assunzione di responsabilità nel frangente elettorale sembrano scolorirsi, al contrario di un crescente spirito individualista. Tanti di noi si rendono figure incapaci o in desiderosi per interesse a riconoscere i voltagabbana, nonché propense a delegare la guida del paese con marcata disinvoltura. Tutto ciò crea i presupposti affinché un leader politico si senta autorizzato a spostare secondo convenienza i propri confini dell’etica, in quanto sempre più esiguo appare il gruppo di coloro che gli chiederà conto per il suo operato. E una volta rimossa, la frontiera della moralità può divenire aleatoria.
E’ stata una lunga digressione, una parentesi condita di concetti in parte già affermati, forse noiosi, ma che ogni persona desiderosa di approfondire la storia della mafia, non deve mai reputare scontati. Essi sono alla base delle dinamiche politico mafiose, necessaria chiave di lettura di quanto è accaduto e sta accadendo nel nostro paese.
Le pagine che ci attendono seguiranno questa corrente, ci procureranno ulteriore ma inevitabile amarezza, perché assisteremo ad uno Stato che invece di omaggiare e proteggere i suoi eroi, farà di tutto per azzittirli ed isolarli. Torniamo quindi a quel 1988, anno che segnò una tragica svolta in negativo nella lotta alla mafia.
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