La sentenza

21.05.2013 12:57

 


Le reazioni alla requisitoria furono nell’immediato positive, ma lo trascorrere dei mesi che videro la lunga rassegna di interventi delle difese, l’intero ambiente politico giudiziario subì l’azione di chi continuava a remare contro il maxi processo. Ad agevolare l’azione dei media contribuì il nostro sistema giudiziario, troppo articolato, complesso, lento, così facilmente vittima di azioni strumentali. L’Italia poi, unico caso tra i paesi cosi detti sviluppati, era sprovvista di una politica specifica contro la criminalità organizzata, come denuncerà due anni più tardi il giudice Falcone.

Quelle porzioni di politica volutamente pigre nel combattere la mafia, con complicità anche all’interno del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) ebbero vita facile nel marchiare i magistrati antimafia di Palermo e non solo, come scomodi, nell’isolarli, arrivando a tingerli di rosso in quanto presuntamene vicini al Partito Comunista.

L’11 Novembre sempre del 1987, la Corte d’Assise si ritirò in camera di consiglio finita l’udienza numero 349, dopo 1820 ore di dibattimento, 1314 interrogatori, per un totale di 666.000 fogli di atti processuali.

Alle ore 19,30 del 16 Dicembre, dopo 35 giorni di camera di consiglio, il presidente Giordano lesse ad un’aula gremita all’inverosimile la sentenza: 19 ergastoli, 2665 anni di carcere inflitti. La corte aveva creduto al teorema Buscetta e all’impianto dell’accusa. La mafia era stata condannata.

Su 474 imputati gli assolti furono 114 e tra questi anche nomi illustri come Luciano Liggio, in quanto non si riuscì a dimostrare che aveva continuato a dare ordini pur rinchiuso in carcere. In quel momento erano presenti in aula oltre duecento imputati che ascoltarono sgomenti le decisioni della corte.

La stampa italiana scrisse che la mafia non era più invincibile, ne sancì il crollo del mito, affermò come il male in lei radicato non era più inestirpabile dalla cultura siciliana. Enorme risonanza dell’esito del Maxi Processo si ebbe anche all’estero e la reputazione del nostro Stato subì un’impennata.

Sembrava l’inizio di una nuova era, l’alba di una vera stagione di libertà dalla schiavitù mafiosa, ma come vedremo questa speranza tramontò presto.

Negli anni che verranno, lo Stato si apprestava ad esibire quanto di peggio non poteva nella non tutela degli uomini fautori della più grande vittoria contro Cosa Nostra.

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