La parola mafia

17.05.2013 20:57

 

C'era una volta... avrei voluto iniziare questa storia così, ma purtroppo quello che sto per raccontare è il cancro che colpisce la società italiana a partire dalla sua Unità ad opera di Garibaldi, un cancro che è partito dalla Sicilia per poi impadronirsi di tutto il Bel Paese, il nostro Paese.

Mafia è una parola che dalla metà dell'Ottocento a oggi ritorna di continuo nella polemica politica o giornalistica quotidiana, nelle inchieste giudiziarie, nella pubblicistica, nella fintino, negli studi dei sociologi, dei giuristi e degli storici. Si tratta di un termine polisemico, che si riferisce a fatti differenti a seconda dei contesti, delle circostanze, delle intenzioni e dell'interesse di chi lo usa.

Ha scritto Giovanni Falcone:

Mentre prima si aveva ritegno a pronunciare la parola “mafia”, adesso si è perfino abusato di questo termine. Non mi va più bene che si continui a parlare di mafia in termini descrittivi e onnicomprensivi perché si affastellano fenomeni che sono sì di criminalità organizzata ma che con la mafia hanno poco o nulla da spartire. 1

La polemica di Falcone deriva dal fatto che la parola “Mafia” la si usa comunemente per designare organizzazioni criminali remotissime dalla Sicilia ed agli Stati Uniti, ossia dai luoghi in cui la mafia propriamente detta ha le sue basi; diventando un' etichetta generica per un' intera gamma di realtà malavitose da un capo all'altro del pianeta che hanno poco o niente a che fare con l'originale siciliano.

Secondo l'accezione oggi prevalente, mafia corrisponderebbe a criminalità regionale siciliana, camorra a criminalità regionale campana, 'ndrangheta a criminalità regionale calabrese e Sacra Corona Unita a criminalità regionale pugliese.

Il termine assume anche accezioni diverse, distanti dalla criminalità organizzata, riferendosi all'influenza di lobby, associazioni segrete, apparati statali deviati, indicando uno stretto rapporto tra politica, affari e criminalità, una diffusa illegalità o corruzione, un malcostume fatto di favoritismi, clientelismo, truffe elettorali, incapacità di applicare le leggi in modo imparziale.

Eppure la mafia si rivela alla stessa Sicilia molto prima del 1863 quando Gaetano Mosca e Giuseppe Rizzotto scrissero la commedia I mafiosi de la Vicaria dando vita ad una delle numerose parole come “pizza” e “spaghetti” che l'italiano ha regalato a molte altre lingue in giro per il mondo.

La diffusione e lo sviluppo della mafia venne favorita dal processo di annessione della regione al Regno d'Italia anche se, i suoi metodi furono messi a punto durante un periodo di rapida crescita dell'industria agrumaria. I limoni erano diventati per la prima volta un pregiato frutto d'esportazione verso la fine del Settecento. Poi, a metà Ottocento, un lungo boom degli agrumi ingrossò la cintura verde scuro della Sicilia. Due pilastri del modo di vita britannico ebbero un ruolo in questa espansione. A partire dal 1795, la Royal Navy utilizzò i limoni come rimedio contro lo scorbuto che colpiva i suoi equipaggi. Su una scala molto più modesta, l'essenza di bergamotto veniva usata per aromatizzare il tè Earl Grey. Fu cosÏ che le arance e i limoni siciliani prendevano la via di New York e di Londra quando sulle montagne dell'interno erano ancora praticamente ignoti. Nel 1860, l'anno della spedizione garibaldina, si stimava che i limoneti siciliani fossero la terra agricola più redditizia d'Europa, battendo perfino i guadagni realizzati dai frutteti intorno a Parigi.

Gli agrumeti ottocenteschi erano attività produttive moderne, che esigevano un massiccio investimenti iniziale. Bisognava liberare le terre dalle pietre; costruire magazzini e strade; innalzare muri di cinta per proteggere i raccolti dal vento e dai ladri; scavare canali d'irrigazione e installare scolmatori. Una volta messi a dimora gli alberi, occorrevano circa otto anni perché producessero i primi frutti e parecchi altri anni prima che le somme investite cominciassero a fruttare guadagno. Fu questa combinazione di vulnerabilità e di elevati margini di profitto a creare l'ambiente perfetto per i racket mafiosi della protezione/estorsione.

Sebbene ci fossero limoneti in molte altre regioni costiere della Sicilia, la mafia è stata fino a tempi recenti un fenomeno concentrato in misura preponderante nella parte occidentale dell'isola. Essa emerse intorno a Palermo che era il centro dei mercati all'ingrosso e al consumo, ed era il porto principale. » qui che buona parte della terra agricola della provincia (e non solo) veniva comprata, venduta e affittata. Infine,era Palermo a decidere l'agenda politica. La mafia nacque non dalla povertà e dall'isolamento, ma dal potere e dalla ricchezza. 2

Nel 1838 il magistrato Pietro Calò Ulloa cercando i modi per frenare la rivoluzione indipendentista siciliana e tentando di individuare le modalità con cui questi siciliani insubordinati potessero diventare dei sudditi ubbidienti del suo re, si interroga sulle ragioni e ragiona sulle cause per le quali costoro sono così indisciplinati e non c'è modo di ricondurli all'ordine. Nel fare quest'analisi denuncia che “il popolo è venuto a tacita convenzione coi rei” attraverso “Unioni o fratellanze, specie di sette che dicono partiti..”, le quali capitanate da “possidenti” e “arcipreti”, realizzano “piccoli Governi nel Governo” per la componende, con cui viene sottratto all'ordine legale il potere di perseguire i crimini, per altre trame contro i pubblici funzionari. 3

Non dobbiamo mai dimenticare che il testo del procuratore di Trapani è una definizione assolutamente insufficiente poiché il Calò Ulloa è troppo impegnato a considerare illecito il dissenso politico, ciò che noi consideriamo lecito. Anche se prima dell'Unità d'Italia non esisteva la parola mafia, esistevano già situazioni e strutture che possiamo definire di tipo protomafioso. Perché si definisse fino in fondo il concetto e nascesse la parola mafia, mancava ancora qualcosa: la conclusione della stagione rivoluzionaria nel periodo compreso tra il 1821 e 1861, l'affermarsi dell'idea di Stato rappresentativo costituzionale, la nascita di un dibattito pubblico libero; dunque, prima che qualcuno dicesse che in Sicilia c'era la mafia, la mafia esisteva già nelle cose. 4

L'idea stessa di mafia rimanda per contrasto all'esistenza di uno Stato che permette libertà di opinioni e di commerci, eguaglianza giuridica tra i cittadini, governo del popolo e della legge, trasparenza e formalizzazione delle procedure. L'assenza in Sicilia di un «grande» brigantaggio legittimista non impedisce al governo di applicare anche all'isola la legge Pica del 1863, che affida la difesa dell'ordine ai tribunali militari. Le operazioni del generale Giuseppe Govone e del prefetto-generale Giacomo Medici, tendenti a catturare i numerosi renitenti alla leva, vedono i rastrellamenti di intere provincie della Sicilia occidentale, l'assedio e l'occupazione manu militari di città e paesi, la persecuzione dei parenti dei renitenti con l'applicazione di un concetto di responsabilità collettiva delle comunità di fronte all'autorità militare; la quale usando e terrorizzando questi sistemi finisce per conseguire il risultato opposto a quello voluto, aggiungendo al già numero enorme dei renitenti e dei disertori una vasta fascia di persone resesi latitanti proprio in occasione e in conseguenza delle azioni (che non è esagerato chiamare terroristiche) dell'esercito.

Come si vede, è impossibile distinguere il disordine sociale e istituzionale da quello politico. Si descrive la mafia come un fenomeno informale e sub-culturale all'intera Sicilia, di per se stesso non condannabile e per alcuni versi accettabile5: «La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti. Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino; e se nella nuova fortuna toccata alla parola, la qualità di mafioso è stata applicata al ladro, ed al malandrino; ciò è perché il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragionare sul valore della parola, né s’è curato di sapere che nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafioso è soltanto un uomo coraggioso e valente, che non porta mosca sul naso, nel qual senso l’essere mafioso è necessario, anzi indispensabile. La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto d’interessi e d’idee; donde la insofferenza della superiorità e peggio ancora della prepotenza altrui. Il mafioso vuol essere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offeso non si rimette alla legge, alla giustizia, ma sa farsi personalmente ragione da sé, e quando non ne ha la forza, col mezzo di altri del medesimo sentire di lui».6

Fu durante i tormentati anni Sessanta del XIX secolo che la classe dirigente del Regno D'Italia sentì parlare per la prima volta della mafia siciliana. Senza avere una chiara idea della sua natura, i primi che studiarono il problema supposero che dovesse trattarsi di qualcosa di arcaico, di un residuo medievale, di una testimonianza dei secoli del malgoverno straniero che avevano mantenuto l'isola in una condizione di arretratezza. Ne segue che malgrado la sua desolata bellezza, l'entroterra siciliano era una metafora di tutto ciò che l'Italia voleva lasciarsi alle spalle: i latifondi erano coltivati da una moltitudine di contadini affamati, soggetti allo sfruttamento brutale dei padroni.

Molti italiani speravano e credevano che la mafia fosse un' affermazione di questo tipo di arretratezza e di povertà, destinata a scomparire non appena la Sicilia fosse emersa dal suo isolamento e si fosse messa al passo con la storia. Si sbagliavano, come è sempre successo, il fenomeno mafioso è stato sempre sottovalutato.

Di per sé non è molto interessante sapere da dove derivi il termine mafia 7 , se e in che accezione veniva usato prima del 1860; ciò che è essenziale è il fatto che esso sia utilizzato da tutti dopo quella data per definire seppur confusamente un rapporto patologico tra politica, società e criminalità, e che dunque il momento genetico della nostra storia nazionale e statuale segni la prima, generica e molto ambigua percezione dell'esistenza di un fenomeno che sfugge e si contrappone al nuovo sistema giuridico e di regole di convivenza sociale.

 

1Da Una nuova fase della lotta alla mafia. Intervista a Giovanni Falcone, in “Segno”, 1990.

2John Dickie, Cosa nostra, Storia della mafia siciliana, 2004.

3Relazione del 3 agosto, in E. Pontieri, Il riformismo borbonico nella Sicilia del Sette e dell'Ottocento, Roma, 1945.

4Salvatore Lupo, Potere criminale, Intervista sulla storia della mafia, Bari, 2010.

5Salvatore Lupo, Potere criminale, Intervista sulla storia della mafia, Bari, 2010.

6Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo, 1870.

7 La derivazione più accreditata sarebbe dall'arabo marfud, donde il siciliano marpiuni ( imbroglione, furbastro ) marpiusu-mafiusu. 

 

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