La mano oscura

21.05.2013 12:27

 


Nel corso delle stesse indagini relative all’omicidio Dalla Chiesa, diversi furono gli episodi allarmanti. Durante il primo sopralluogo nella casa del prefetto, poche ore dopo il delitto, non si riuscì ad aprire la cassaforte del generale perché non si ritrovarono le chiavi. Due giorni dopo le stesse vennero rinvenute in un cassetto di una scrivania quella sera risultato vuoto. Si aprì la cassaforte ma dentro non c’era niente: avevano già provveduto a svuotarla. Si ripeteva con regolare puntualità quanto già accaduto in altri omicidi eccellenti, dove qualcuno si preoccupa a far scomparire i documenti personali e di lavoro delle vittime, un attimo prima che questi cadano nelle mani delle forze istruttorie. Era avvenuto con la borsa che Aldo Moro aveva nell’istante del sequestro, sparita; si ripeterà con il computer di Giovanni Falcone ripulito, e ancora con l’agenda rossa di Paolo Borsellino, svanita nel nulla il giorno del suo attentato. Occulte forze si presentano con tempismo quanto meno inquietante, a far sparire ciò che di più privato e utile per le indagini, queste personalità uccise di morte violenta conservavano.

Altro episodio. Venne smascherato dopo giorni di accertamenti un apparente mitomane, tale Giuseppe Spinoni, che affermava di essere un testimone della strage. Venne condotto dagli inquirenti sul presunto luogo della strage per un incidente probatorio, perché fornisse una ricostruzione di quanto asseriva di aver visto. Uno di loro fu colpito da un’intuizione geniale, e invece di condurlo in via Isidoro Carini teatro degli omicidi, fu portato in via Giacinto Carini, un’altra quasi omonima strada di Palermo, ma differente e distante dalla prima. Lo Spinoni non si accorse della differenza e descrisse nei dettagli quanto secondo lui aveva visto quella sera. Tornato in questura venne sbugiardato. Depistaggio? Non emerse nulla di concreto.

Come all’indomani degli omicidi Mattarella e La Torre, iniziò a diffondersi l’indiscrezione che voleva incanalare il delitto Dalla Chiesa sulla pista della vendetta terroristica. Qualcuno sosteneva che le Brigate Rosse avessero voluto far pagare al generale, il prezzo del suo vittorioso impegno contro il terrorismo. I magistrati palermitani erano fermamente convinti che le armi fossero state imbracciate da Cosa Nostra, e dovettero per dimostrarlo, compiere sofisticate prove balistiche che accomunavano agli stessi kalashnikov, i proiettili rinvenuti nei delitti Bontate, Inzerillo, della strage della circonvallazione e Dalla Chiesa. Pista chiusa, mafia unica responsabile.

Anche in questo caso si era dinanzi al legittimo puntiglio investigativo di alcuni, o all’ennesimo tentativo di spostare l’asse dei crimini lontani dall’orizzonte mafioso?

L’8 marzo del 2003 la corte d’assise di Palermo, ha condannato all’ergastolo per gli omicidi Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo, Giuseppe Lucchese e Raffaele Ganci, boss del quartiere Noce. Si trattava del terzo procedimento sulla strage. Con sentenza divenuta definitiva nel 1995, all’ergastolo erano già stati mandati Antonio Madonia e Vincenzo Galatolo, mentre Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, beneficiarono di una riduzione della pena a 14 anni di carcere per collaborazione con la giustizia. Tra coloro condannati per la morte dell’autista Russo, vi era anche Pino Greco detto “Scarpuzzedda”, uno dei killer più spietati e operosi al servizio di Riina. Nel caso di “Scarpuzzedda”, il braccio giudiziario interno a Cosa Nostra anticipò quello dello Stato, e questi venne eliminato per “eccessiva intraprendenza”.

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