La Cassazione ribalta l’Appello
21.05.2013 13:11
La morte del giudice Scopelliti e di Libero Grassi alimentano il fiume dei consensi verso quelle forze che tentano di riproporre i Corleonesi come un nemico dello Stato. L’esito a favore di Cosa Nostra, del procedimento di Cassazione sul Maxi Processo non appare più così scontato. Accresce nel frattempo in tutto il paese la protesta per l’operato di giudici come Corrado Carnevale, che verrà ribattezzato dai media come «l’ammazza sentenze».
Carnevale era un magistrato di Cassazione, che divenne celebre per la lunga serie di condanne per mafia che annullò aggrappandosi a cavilli giuridici. Il suo intervento visibilmente a senso unico fu talmente vistoso che si finì per sospettarlo legato a Cosa Nostra, ma nel 2002 sempre la Cassazione, avrebbe annullato una precedente condanna per «concorso esterno in associazione mafiosa». La più che decennale gogna mediatica e giuridica intanto, scongiurò una sua designazione quale titolare del Maxi Processo in Cassazione.
Nell'imminenza del verdetto, un colpo di scena del Ministro della Giustizia Martelli, scompagina la routine della Suprema Corte, proprio per evitare che qualche «ammazza sentenze» non distruggesse il lavoro di tanti anni. Convocò al Ministero il presidente della Corte di Cassazione, Brancaccio e gli chiese se non ritenesse giusto per una evidente ragione di opportunità e anche di equilibrio nella distribuzione delle responsabilità fra i giudici di Cassazione, di introdurre un «principio di rotazione». Allora Falcone e Martelli inventarono già da quel momento questo principio di rotazione, secondo il quale i processi venivano assegnati per rotazione. Quindi nessuno da quel momento in poi avrebbe avuto la certezza del giudice che l'avrebbe giudicato.
La tanto attesa sentenza giunse il 31 gennaio del 1992 ed il giudizio della Corte d’Assise d’Appello venne ribaltato. Al termine di due mesi d’udienze vennero riconosciute le tre tesi portanti dell’atto d’accusa mosso da Falcone e Borsellino verso Cosa Nostra in primo grado, così clamorosamente indebolite in Appello. In sostanza veniva confermata l’esistenza di Cosa Nostra e la sua organizzazione legata ad un unico vertice; si riaffermò come i componenti della Commissione erano tutti responsabili allo stesso modo degli omicidi commessi in nome dell’organizzazione; venne riconosciuta attendibile la testimonianza dei pentiti di mafia. Il «teorema Buscetta» era stato accolto nella sua pienezza, convertendo in definitive le 19 sentenze di ergastolo e gli oltre 2600 anni di carcere del Maxi Processo ai boss leader di Cosa Nostra.
Lo Stato italiano aveva finalmente riconosciuto la mafia siciliana come organizzazione che costituiva una minaccia per la vita democratica del paese. L’eco della sentenza ebbe una risonanza planetaria e questo acuì anche nei fautori dell’impresa, la consapevolezza dell’importanza del successo. Per giungere a questo storico risultato si era dovuto attendere oltre 130 anni. In quel giorno l’orgoglio ed il prestigio per una così preziosa vittoria ottenuta contro la più importante associazione criminale del pianeta, affievolì il dolore e l’amarezza per i tanti caduti nel corso di una autentica guerra. Ma si poteva andare oltre. Secondo molti si erano spalancate le porte per Falcone, a vestire quella carica a direttore della neonata Superprocura Nazionale Antimafia.
Un ruolo provvisto dei poteri necessari per infliggere a Cosa Nostra nuove cocenti sconfitte.
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