L'entità mafiosa e le gerarchie.

21.05.2013 12:47

 

Avvenuto il “giuramento mafioso”, il rappresentante o capo della famiglia spiega quindi al neofita il livelli gerarchici della famiglia, della provincia e di Cosa Nostra nel suo insieme. Si sofferma sul «capo decina» il quale, come indica il titolo, è alla testa di dieci (o più) uomini d'onore e al quale l'iniziato farà direttamente capo. Non è ammesso alcun rapporto diretto con il rappresentante. Può tuttavia capitare, soprattutto nel Palermitano, che alcuni uomini d'onore dipendano direttamente da lui, diventando i suoi uomini di fiducia, incaricati dei compiti più delicati e segreti.

Non tutti possono aderire a Cosa Nostra. Quest'università del crimine impone di essere valorosi, capaci di compiere azioni violente e, quindi, di saper uccidere. Ma non è questa la qualità fondamentale. Sapere uccidere è condizione necessaria, ma non sufficiente. Molte altre devono essere soddisfatte. L'appartenenza a un ambiente mafioso, i legami di parentela con uomini d'onore costituiscono nella fase iniziale un buon vantaggio. Tra le qualità indispensabili richieste, il pentito Salvatore Contorno ricorda l'essere di sesso maschile, il non avere alcun parente in magistratura e nelle forze dell'ordine...

L'insulto più sanguinoso per un uomo d'onore consiste nell'affibbiarli l'appellativo di «sbirro» o «infame». Ricordo in proposito che a Trapani negli anni Sessanta, agli inizi della mia carriera, durante un litigio tra Mariano Licari, boss di Marsala, e un altro mafioso, «Sei uno sbirro» gridò il primo. E l'altro ribatté: «Se io sono uno sbirro, tu sei un carabiniere a cavallo». Ho capito in quel momento, quale viscerale avversione nutra il mafioso nei confronti dei rappresentanti dello Stato1.

Tommaso Buscetta, nelle sue confessioni, ha parlato di un'altra regola non scritta della mafia: le decisioni della Commissione devono essere eseguite a qualsiasi costo e il capo della famiglia del territorio su cui viene consumato il crimine deve essere assolutamente informato. Ha aggiunto poi con tono ironico: «Nessuno troverà mai un elenco degli appartenenti a Cosa Nostra né alcuna ricevuta dei versamenti delle quote. Il che non impedisce che le regole dell'organizzazione siano ferree e universalmente riconosciute»2.

La cellula base di Cosa Nostra è la «famiglia» con i suoi valori tradizionali: onore rispetto dei vincoli di sangue, fedeltà, amicizia … Può contare due o trecento membri, ma la media è di circa cinquanta. Ogni famiglia controlla un suo territorio dove niente può avvenire senza il consenso preventivo del capo. Alla base vi è l'uomo d'onore, o il soldato, che ha un peso nella famiglia indipendentemente dalla carica che vi può ricoprire. Personaggi leggendari in seno a Cosa Nostra come don Calò Vizzini o Giuseppe Genco Russo o Vincenzo Rimi sono rimasti per tutta la vita soldati, a dispetto della loro influenza e del loro prestigio. Lo stesso è avvenuto per Tommaso Buscetta.

I soldati eleggono il capo, che chiamano rappresentante, in quanto tutela gli interessi della famiglia nei confronti di Cosa Nostra. L'elezione si svolge a scrutinio segreto ed è preceduta da una serie di sondaggi e di contatti. Quasi sempre l'elezione conferma all'unanimità il candidato prescelto. Una volta eletto questi nomina un vice e a volte uno o più consiglieri. Tra capo e soldato si situa il capo decina.

Tutto ciò pone in rilievo quanto sia gerarchizzata la mafia. Altro livello gerarchico: i capi delle diverse famiglie di una medesima provincia (Catania, Agrigento, Trapani...) nominano il capo di tutta la provincia, detto rappresentante provinciale. Questo vale per tutte le provincie con l'eccezione di Palermo, dove più famiglie contigue su uno stesso territorio (in genere tre) sono controllate da un «capo mandamento», una specie di capo zona, che è anche membro della famosa Commissione o Cupola provinciale. A sua volta questa cupola nomina un rappresentante alla Commissione regionale, composta di tutti i responsabili provinciali di Cosa Nostra: è questo il vero e proprio organo di governo dell'organizzazione. Gli uomini d'onore la chiamano anche «la Regione» con riferimento all'unità amministrativa.

La Regione emana i «decreti», vota le «leggi» (come ad esempio quella che proibisce i sequestri di persona in Sicilia), risolve i conflitti tra le varie provincie. Prende inoltre tutte le decisioni strategiche.

Attorno a Cosa Nostra gravitano gruppi non mafiosi – come avveniva per il contrabbando di sigarette prima del traffico di droga – che generalmente coordinati dai singoli uomini d'onore, ma che non fanno parte della mafia. Coordinamento, questo, avvenuto frequentemente anche nei confronti della malavita napoletana per risolverne gli innumerevoli contrasti interni e anche per assumere la direzione dei suoi affari a scopo di lucro. Questo si è verificato particolarmente negli anni Settanta quando Cosa Nostra arrivo fino a organizzare turni per lo scarico delle navi contrabbandiere. Nel golfo di Napoli, infatti, entrava solo un'imbarcazione per volta, con un carico di 40/50.000 casse di sigarette. Il carico apparteneva ora alla Commissione nel suo insieme, ora al gruppo palermitano di Tommaso Spadaro, ora ai napoletani di Michele Zaza. Tali regole di ripartizione, molto precise, stabilite da Cosa Nostra, venivano rispettate da tutti.

L'organizzazione aveva quindi tutte le carte in regola per monopolizzare il controllo del traffico di stupefacenti destinati agli Stati Uniti. Alcuni gruppi si specializzarono nell'approvvigionamento di morfina-base dal Medio e dall'Estremo oriente; altri si dedicarono esclusivamente alla trasformazione della morfina in eroina; altri ancora si consacrarono all'esportazione di droga negli Stati Uniti, dove la mafia dispone di solide teste di ponte. Tutti i gruppi facevano capi a uomini d'onore.

 

1Falcone Giovanni in collaborazione con Padovani Marcelle, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991.

2 Tommaso Buscetta, Tribunale di Palermo 1984, pp. 4-5. 

 

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