Il Robin Hood siciliano e Portella della Ginestra.

19.05.2013 12:41

 

Fin dai sui inizi negli anni Sessanta e Settanta dell'Ottocento, come abbiamo visto in precedenza, la mafia ha sempre avuto con i banditi un rapporto caratterizzato a un tempo dall'intimità e dalla doppiezza. L'onorata società utilizzava e proteggeva i banditi quando aveva bisogno di loro, ma li consegnava alla polizia nel momento in cui diventavano un fastidio. Lo schema si ripete per l'ultima volta negli anni Quaranta con Salvatore Giugliano, tra tutti i banditi il più famoso e il più feroce. Ma la storia di Giugliano è qualcosa di più del raccapricciante episodio conclusivo della vicenda del brigantaggio siciliano. Essa siggillò la rinascita della mafia dopo la repressione fascista, e potrebbe anche essere stata il punto di partenza della collusione dello Stato democratico italiano con atti terroristici rivolti contro la sua stessa popolazione.

Non è possibile parlare di Montelepre senza associarlo al nome di Salvatore Giugliano. La sua storia, svoltasi nel settennio 1943-1950, era già leggenda prima ancora sella sua scomparsa; migliaia di episodi lo avevano qualificato come “L'uomo che toglieva ai ricchi per dare ai poveri”.

Salvatore Giugliano nacque a Montelepre il 16 novembre del 1922. il padre, suo omonimo, costretto ad emigrare negli Stati Uniti, a più riprese riuscì a comprare diversi pezzi di terra nei dintorni del paese, infine rimpatriò per occuparsi della loro coltivazione. Il giovane Giugliano, finite le elementari, andò ad aiutare il padre. In verità avrebbe preferito il commercio, ma non si sottraeva al suo dovere anzi trovava il tempo per continuare gli studi. Spesso finito il lavoro, andava dal prete del paese o da un suo ex insegnante.

Fu guerra mondiale, i generi di prima necessità diventarono sempre più rari, il governo per fronteggiare la crisi dispose l'ammasso del grano. Tutti i contadini furono costretti a privarsi del raccolto ed a sopravvivere con le “famigerate tessere”: nascondere il grano era reato, ma anche a nasconderlo non si poteva macinarlo perché i mulini erano sorvegliati. In questo contesto la maggioranza della popolazione era al limite della sopravvivenza. Nelle campagna dell'entroterra, qualche contadino era riuscito ad occultare parte del raccolto e Salvatore Giugliano aveva fabbricato un piccolo mulino, ma la farina non bastava mai, perché egli la dava ai bisognosi. Nella famiglia Giugliano era il fratello maggiore che procurava il grano, ma anche lui venne richiamato in guerra e toccò a Salvatore Giugliano poco più che ventenne, provvedere ai bisogni della famiglia.

Inesperto del modus operandi , il 2 settembre 1943, incappò in una pattuglia composta da due guardie campestri e da due carabinieri. Furono inutili le preghiere e le spiegazioni. Venne accusato di contrabbando per due sacchi di grano di circa 40Kg ciascuno e gli sequestravano il mulo ed il grano. Intendevano arrestarlo per condurlo al presidio americano, egli esibì i suoi documenti e chiese di essere denunciato ma non arrestato. Gli sembrò che i militari si fossero convinti, quando avvistarono quattro muli stracarichi: erano contrabbandieri veri. Il giovane Giugliano venne lasciato libero e sa solo, provò ad allontanarsi ma i militari se ne accorsero e gli spararono sei colpi, con due che lo colpirono al fianco. Al carabiniere Giuseppe Mancino venne ordinato di finirlo, nel caso fosse ancora vivo, ma egli che aveva sentito, lo precedette e lo ferì gravemente con la pistola che teneva nascosta nello stivale. Il militare morì l'indomani a Palermo, mentre Salvatore Giugliano, dopo aver trascorso un mese tra la vita e la morte, guarì perfettamente e si rifugiò sulle colline intorno a Montelepre.

Il 24 dicembre 1943, allo scopo di catturarlo, le autorità disposero di circondare il paese con ottocento carabinieri. Non vi riuscirono e per rappresaglia arrestarono centoventicinque persone. Tra queste persone c'era il padre di Giugliano, che fu picchiato a sangue da un graduato. Salvatore Giugliano dal suo nascondiglio vide tutta la scena, la sua ira divenne incontenibile ed attaccò i convogli che attendevano in piazza. Un carabiniere morì ed un altro rimase seriamente ferito. Gli diedero la caccia senza esclusione di colpi, senza pietà, ma egli riuscì sempre a scappare.

Le sue imprese divennero note a tutti i siciliani, ma c'è da dire anche che il rapporto di Giugliano con la mafia si conforma a uno schema classico; senza la protezione degli uomini d'onore non sarebbe riuscito a sopravvivere nella fase iniziale della sua attività, ne avrebbe potuto fare della sua banda la più prospera e famosa della Sicilia. Ciò che distingue l'ultimo bandito dai suoi predecessori è il fatto che Giugliano si lasciò trascinare sul terreno dell'ideologia politica.

Esponenti del Movimento Indipendentista Siciliano (M.I.S.) a cui egli aveva aderito fin dall'aprile 1943, lo cercarono. Nel febbraio 1944 liberò otto monteleprini prigionieri nel carcere di Monreale e con essi formò il primo nucleo di guerriglieri. Il 15 maggio 1945 gli vennero offerti i gradi di colonnello ed il comando per la Sicilia occidentale dell' E.V.I.S., le brigate Partigiane Siciliane, chiamate «Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia». Dalla fine del 1945 egli diede il via alla guerra della Sicilia contro l'Italia, compì una serie di attacchi alle caserme e ingaggiò numerose battaglie in veste ufficiale, con tanto di divisa, di gradi e bandiera. Le più note sono quelle di Monte d'Oro, Calcerame e Monte Cuccio.

L'azione dell'E.V.I.S. e la politica del M.I.S., a cui tutta Montelepre, tutti i paesi limitrofi e buona parte dei siciliani aveva aderito, piegarono la volontà del Governo Italiano e del Re d'Italia Umberto II, che il 15 maggio 1946 approvò lo Statuto Siciliano, che rendeva l'isola quasi una nazione confederata all'Italia.

Il popolo siciliano salutò con entusiasmo questa conquista e la popolarità di Salvatore Giugliano toccò l'apice. Venne considerato il simbolo della ribellione del sud e a causa della sua innata generosità, il «Robin Hood della Sicilia».

Il 2 giugno 1946 si svolsero le elezioni per il referendum monarchia – repubblica. Vinse la Repubblica, Umberto II non era più il Re d'Italia. Il 22 giugno 1946 Palmiro Togliatti, Ministro di Grazia e Giustizia, fece approvare un decreto di amnistia ed indulto che cancellava reati comuni, politici e militari. Quasi tutti gli uomini che avevano combattuto per l'E.V.I.S. tornarono a casa, ma il maresciallo Giuseppe Calandra della Stazione dei Carabinieri di Montelepre denunciò per reati comuni tutti coloro che erano a lui noti come appartenenti a Salvatore Giugliano, naturalmente non riuscì ad arrestarli perché tornarono tutti in montagna. Con il declino del separatismo, c'era il pericolo che Giugliano rimanesse politicamente orfano. Nel 1946 le sue prospettive sembravano piuttosto fosche, perché lo Stato stava finalmente organizzando un'efficace risposta militare alle bande, e la mafia cominciava ad abbandonare i fuorilegge che aveva fino ad allora protetto. Uno dopo l'altro, i banditi vennero uccisi o catturati, e gli arresti non di rado furono il risultato di contatti tra la polizia e i mafiosi, probabilmente all'inizio i mafiosi non intendevano vendere Giugliano alle autorità dato che Giugliano era passato per un rituale d'iniziazione della mafia (così dichiara Buscetta: Giugliano mi è stato presentato come «la stessa cosa»). Ammesso e non concesso che sia vero, ciò non significa che il bandito fosse parte dell'associazione; è anzi più probabile che per la mafia l'iniziazione sia stata un mezzo per rafforzare la sua fedeltà e per tenere sotto sorveglianza le sue attività.

Prima del voto del 20 aprile 1947, Salvatore Giugliano che sosteneva Antonino Varvaro, candidato del M.I.S democratico Repubblicano, stipulò accordi con l'esponente del P.C.I. Girolamo Li Causi, quest'ultimo avrebbe fatto votare per Varvaro tutti i comunisti indipendentisti, mentre Giugliano avrebbe sostenuto le spese elettorali. Cosa che effettivamente fece, ma Li Causi non mantenne l'impegno, Varvaro non venne eletto e ciò scatenò il risentimento di Salvatore Giugliano. Era sua ferma intenzione di sbugiardarlo davanti a tutti in occasione della festa del 1 maggio 1947 a Portella delle Ginestre.

Il piano di azione prevedeva una sparatoria in aria per catturare l'oratore e poi farlo giudicare dai convenuti, purtroppo non poté prevedere che tra i suoi uomini vi fossero degli infiltrati della polizia, uomini dei servizi segreti americani e della mafia. L'ispettore Messana, avvertito dal suo confidente Salvatore Ferreri, avvertì Li Causi di non andare a Portella.

Giuseppe Passatempo, allo scopo di far ricadere la colpa su Salvatore Giugliano si mise d'accordo con i mafiosi della zona che, nascosti a pochi metri dalle persone, anziché sparare in aria spararono sulla folla, uccidendo undici persone e ferendone ventisette. Era evidentissimo che il delitto era anomalo, in contrasto con gli ideali di un uomo che aveva lottato con il popolo e per il popolo. Ma questo orrendo delitto, di cui egli non fu responsabile, gli venne addebitato nonostante le sue innumerevoli giustificazioni.

Per circa mezzo secolo la responsabilità venne attribuita a Giugliano e ai suoi uomini. Recentemente analizzando le balistiche, i verbali di sopralluogo e le perizie necroscopiche1 si è scoperto che i colpi che fecero le undici vittime furono sparati dal basso, con armi Beretta calibro 9, modello Thompson, che né Giugliano, né i suoi uomini avevano in dotazione. Prima delle elezioni del 18 aprile 1948, Salvatore Giugliano venne contattato da esponenti politici di tutti gli schieramenti. Per coerenza con i suoi ideali, avrebbe voluto appoggiare i partiti di sinistra, ma poiché quest'ultimi, dopo Portella delle Ginestre, gridavano alla crocifissione contro di lui, decise di appoggiare gli esponenti della D.C. - che gli promisero un'amnistia di cui avrebbero beneficiato i suoi uomini. Ci fu una massiccia collaborazione e nel 1948 la D.C. conquistò la maggioranza assoluta. Ma i politici avute le poltrone a cui aspiravano, invece di mantenere gli impegni preso, gli proposero di arrendersi o di espatriare.

Malgrado la pubblica indignazione per l'orrore di Portella della Ginestra, Giugliano rimase uccel di bosco per altri tre anni. Dopo il massacro, la lava fumante del conflitto sociale nella Sicilia postbellica lentamente si raffreddò, formando un nuovo paesaggio politico dominato dai democristiani. Furono questi mutamenti politici, piuttosto che l'ira e il dolore provocati dalle azioni di Giugliano che cominciarono a far apparire il bandito un barbarico anacronismo. Gradatamente le vittorie elettorali della DC eliminarono la necessità di questa fragorosa specie di terrore anticomunista.

Giugliano insisté negli attacchi contro gli attivisti contadini e le loro istituzioni, ma a poco a poco i membri della banda caddero nelle mani delle autorità (spesso con l'aiuto di informazioni fornite dalla mafia). Contemporaneamente diventò più difficile capire le azioni del capobanda. Nell'estate del 1948 uccise cinque mafiosi, incluso il boss di Partinico; un atto i cui motivi in buona parte ci sfuggono. Non sorprende che molti abbiano visto in quest'episodio l'elemento che segnò il destino di Giugliano. Ciò nondimeno, un anno dopo era ancora abbastanza forte da assassinare altri sei carabinieri in un0imboscata a Bellolampo, subito fuori Palermo.

Per tutto questo tempo le indagini sui fatti di Portella della Ginestra procedettero faticosamente, in mezzo a sospetti crescenti che qualcuno – forse il Ministro dell'Interno Scelba – potesse aver ordinato la strage.

Nella seconda metà del 1948, i nuovi governanti fecero invadere Montelepre dai carri armati e fecero deportare tutti gli uomini validi, dai quindici anni in su (circa tremila), tra loro tutti i familiari e i parenti di Salvatore Giugliano. Le sue reazioni a questo punto sono intuibili: scriveva ai giornali, ai magistrati, ai politi evidenziando i maltrattamenti e i sopprusi che venivano commessi; attaccò colonne di autocarri di militari, le caserme, ingaggiò vere e proprie battaglie. Gli scontri a fuoco, alcuni violentissimi, provocarono decine e decine di morti e feriti tra le migliaia di uomini che il Governo gli mandò contro.

Solo allora si resero conto che per sconfiggerlo bisognava eliminare le persone che aveva vicino. Per ottenere ciò lo Stato Italiano scese a patti con la mafia. In cambio dell'impunità, in poco tempo, alcuni degli uomini più fidati di Salvatore Giugliano vennero catturati o uccisi. Per eliminarlo fisicamente ricorsero al tradimento di Gaspare Pisciotta e Nunzio Badalamenti (ufficialmente arrestato), che lo eliminò nel sonno in una casa colonica chiamata «Villa Carolina», ubicata tra Pioppo e Monreale. La mattina del 5 luglio 1950 il suo corpo venne trasportato a Castelvetrano, dove venne simulato un conflitto a fuoco con i carabinieri, che si attribuirono il merito di averlo ucciso. Salvatore Giugliano aveva solamente ventisette anni!. Resta però il fatto che Giugliano fu ucciso, mentre è molto verosimile che si sarebbe potuto catturarlo:; ed esistevano uomini politici, poliziotti, carabinieri e mafiosi per i quali un Giugliano vivo avrebbe rappresentato un pericolo.

L'unico uomo in grado di rivelare la verità su Portella della Ginestra, e che forse, chissà, era anche disposta a farlo, era Gaspare Pisciotta, il quale durante il processo di Viterbo aveva proclamato: «Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Ma proprio quando Pisciotta decise di parlare qualcuno lo avvelenò con la stricnina. È impossibile pensare che sia stato ucciso senza quanto meno l'approvazione dell'onorata società. Qualunque fosse stata la sua parte negli intrighi dietro Portella della Ginestra e la banda di Giugliano, la mafia volle assicurarsi che la verità (l'intera verità) non sarebbe mai venuta fuori.

1 La perizia necroscopica è volta a scoprire le cause della morte,ed un suo sinonimo è l'autopsia...che viene effettuata sotto richiesta di un magistrato o per richiesta del medico e dei famigliari se le cause di morte non sono ben definite o se c'è ipotesi di "dolo".

 

—————

Indietro