Il pool viene «smembrato»

21.05.2013 13:07

 

Diverso sarà il trattamento a cui sarà sottoposto Giuseppe Ayala. Nel corso della sua deposizione difensiva al CSM, DI Pisa chiamò in causa Ayala divulgando informazioni private sul suo conto bancario, tali da montare sospette congetture su di una sua eccessiva disponibilità finanziaria. Il giudice della procura di Palermo sarà costretto a fornire chiarimenti che nulla avevano a che vedere con il suo ruolo istituzionale. Le spiegazioni verranno ritenute formalmente convincenti, ma come premio gli frutteranno un provvedimento di trasferimento dalla Procura di Palermo per «incompatibilità ambientale»: l’ultimo atto della manovra di isolamento a danno di Giovanni Falcone era così compiuto.

Ancora una volta, dietro alle quinte delle istituzioni che dovevano operare al meglio per il bene della giustizia del paese, si scelse di calare il sipario sulla stessa. Gli interessi di alcune fazioni ebbero ancora il sopravvento su quelli generali. Secondo Ayala stesso, egli stava pagando la sua amicizia con Giovanni Falcone, tesi avvalorata anche da Antonino Caponnetto.

Nell’Ottobre del 1989 entra in vigore il nuovo codice di procedura penale. Il fresco ordinamento pone la definitiva pietra tombale all’ufficio istruzione processi, e Falcone viene nominato quale aggiunto del nuovo Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco. Un nome assai discusso quello di Giammanco. Egli è amico dell’On. Mario D’Acquisto, ritenuto uomo di Salvo Lima, e costituirà secondo molti, una spina nel fianco per l’operato del magistrato. A ribadirlo anche la sorella del giudice, Maria Falcone che in una intervista rilasciata a Francesco La Licata ricorda: «Era Francesca (Morvillo, moglie di Falcone), che mi raccontava il dramma di Giovanni. Lei certe cose le sapeva per fonti sue e, quando poteva me le riferiva. Mi faceva capire l’ostilità di Giammanco per Giovanni, il disagio di mio fratello che si trovava le mani legate, nell’impossibilità di lavorare. Gli assegnava anche processi di poco conto, per caricarlo di lavoro e ricordagli chi comandava. Cercava di assoggettarlo, mettendolo nella condizione di subalterno. Arrivò perfino a umiliarlo: una volta lo fece aspettare a lungo fuori dalla porta, prima di riceverlo».

Falcone non mancherà di gremire di note al riguardo il proprio computer, ma lo stesso venne ripulito all’indomani della sua morte a Capaci. Sfuggirono al setaccio una risicata ma convincente porzione di quegli appunti: il giudice l’aveva consegnata ad un cronista del «Sole24ore», che le diffuse. Dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino, ben otto sostituti della Direzione Nazionale Antimafia, corredarono una richiesta congiunta condita di pesantissime accuse, che formalizzava la richiesta di una rimozione del Procuratore Capo. Giammanco fiutò i pericoli e decise di anticipare qualsiasi decisione degli organi competenti presentando domanda di trasferimento.

Nonostante tutti gli ostacoli, Giovanni proseguirà fruttuosamente nel suo lavoro. Viene intercettato il giusto canale in cui inserirsi nel traffico di cocaina tra la Sicilia e la Colombia. Partendo dalle confessioni di «Joe Cuffaro», un pentito arrestato nel gennaio del 1988 al termine di un maxi sequestro al largo di Castellammare del Golfo, Falcone coordina una inchiesta che porterà all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani. Un potenziale traffico di tonnellate di droga viene interrotto. La fama ed il prestigio di Falcone, continuano a diffondersi in tutto il pianeta: un trattamento lontano anni luce da quello che la patria gli riserverà.

Cedendo alle insistenze di persone di fiducia, Giovanni accettò la candidatura quale consigliere del CSM. Inutile aggiungere che anche questa venne respinta, e secondo alcuni, ancor prima della votazione finale del gennaio 1990. Il CSM era lo specchio delle lottizzazioni partitiche con le quali si determinavano tutti i ruoli istituzionali. Era perciò impensabile che dal suo giudizio scaturissero scelte differenti dagli orientamenti politici del periodo. Preferenze che Caponnetto definirà segnate dalla «incapacità di capire l’importanza di certe decisioni».

Il CSM che operò sul finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, pur riconoscendo che al peggio può non esserci mai fine, venne definito da molti osservatori, e purtroppo solo a posteriori, come il peggiore della storia della nostra repubblica.

Nel gennaio del 1990 il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, esponente della corrente più riformatrice in seno alla Democrazia Cristiana siciliana, viene silurato dalla dirigenza romana del partito. Ufficiosamente colpevole di stringere alleanze molto a sinistra per i canoni DC, Orlando paga il suo essere un politico troppo indipendente dalle logiche clientelari, e soprattutto, di aver ricercato in ogni direzione degli appoggi per contrastare la rete mafiosa dell’isola.

Lasciò perplessi in questo senso, la polemica che nell’ottobre dell’anno seguente lo stesso Orlando accese nei confronti di Falcone. L’ex sindaco accusò il magistrato di aver nascosto nei cassetti della propria scrivania prove gravose su presunte indagini omesse a danno di politici. Difficile interpretare un gesto simile, proprio perché lanciato nella direzione di Falcone da un uomo che la mafia aveva tentato di contrastarla dall’interno della politica. Impossibile trovare una chiave di lettura trasparente e univoca, in un contesto governato da regie occulte che nell’ombra tramavano affinché sul campo ogni soggetto si avventasse sull’altro, seminando una generalizzata cultura del sospetto, con l’unico preciso intento di smembrare la compattezza delle istituzioni, bagnando le polveri così, all’unica vera minaccia per gli interessi politico mafiosi.

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