Il golpe di Capaci
21.05.2013 13:18
«Puzza di servizi segreti», la chiama Ilardo.
E come in una spy story che si rispetti, la politica delle stragi viene preannunciata. La prima volta da un oscuro manovale dei servizi segreti, Elio Ciolini.
Arrestato alla fine del 1991, il 4 marzo 1992, otto giorni prima dell'omicidio Lima, Ciolini invia una lettera al giudice istruttore di Bologna Grassi.
Oggetto: «Nuova strategia tensione in Italia – Periodo: marzo-luglio 1992»
Nel periodo marzo-luglio di quest'anno avverranno fatti intesi a destabilizzare l'ordine pubblico come esplosioni dinamitarde intese a colpire quelle persone «comuni» in luoghi pubblici, sequestro ed eventuale «omicidio» del futuro Presidente della Repubblica. Tutto questo è stato deciso a Zagabria – Yu – (settembre '91) nel quadro di un «riordinamento politico» della destra europea e in Italia è inteso ad un nuovo ordine «generale» con i relativi vantaggi economico finanziari (già in corso) dei responsabili di questo nuovo ordine deviato massonico politico culturale, attualmente basato sulla commercializzazione degli stupefacenti.
La «storia» si ripete dopo quasi quindici anni ci sarà un ritorno alle strategie omicide per conseguire i loro intenti falliti. Ritornano come l'araba fenice.
Dopo l'omicidio Lima, il 18 marzo 1992 Ciolini scrive di nuovo al giudice istruttore di Bologna.
Oggetto: RIF Lettera data 4-3-1992
Egregio dottore,
Non a caso la mia informazione sugli eventi di quanto in oggetto, per sfortuna, si è rivelata giusta.
Alla riunione (Sissak) parlavano inglese, ho fatto un poco di fatica a ricordare, e per questo solo oggi le scrivo.
Ora, «bisogna» attendersi un'operazione terroristica diretta ai vertici Psi, a personaggio di rilievo.
Secondo le indagini della Procura di Palermo, è evidente anche in questo caso lo straordinario rilievo dell'informazione fornita più di due mesi prima della strage di Capaci, se si tiene conto degli stretti rapporti stabilitisi negli ultimi anni fra Falcone e Martelli e delle modalità esecutive di tipo terroristico adottate per la strage di Capaci.
Ciolini viene ascoltato dal Ros, a cui passa una sorta di schema.
Strategia della tensione marzo-luglio '92
Matrice masso-politico-Mafia = Siderno Group Montreal-Cosa nostra-Catania-Roma (DC – ANDREOTTI) – ANDREOTTI – Via d'ACQUISTO – LIMA.
Sissan – Accordo futuro governo croato (TUJDEMANN) massone per protezione laboratori Eroina – transito cocaina – cambio – Ristrutturazione economia croata e riconoscimento Repubblica Croata – Investimento previsto 1000 milioni di $ [segue parte non leggibile nella copia del manoscritto a nostra disposizione, nda]
Sissan – Accordo fra gruppi estremisti per politica di destra in Europa commerciale – Austria – Germania – Francia – Italia – Spagna – Portogallo – Grecia.
[…] commercializzazione eroina – cocaina – via [parola illeggibile] Sicilia – Yugoslavia (prov eroina Turchia).
Commercializzazione – Sicilia Yugo – trasporto sottomarino Prov Urss (mi–ni) pers croato.
Protezione Dc via Mr D'ACQUISTO e LIMA – previsto futuro Presidenza ANDREOTTI.
Dc domanda voti alla cupola per nuove elezioni.
Corrente Dc sinistra no d'accordo con voti Cupola.
ANDREOTTI, secondo gli sviluppi della politica di sinistra e destra, poco [segue una parola poco leggibile] reticente.
Si giustifica LIMA, per pressione a ANDREOTTI.
È prevista anche, con l'accordo Psi, Repubblica Presidenziale ANDREOTTI.
Cupole – Pressione a ANDREOTTI, [segue qualcosa di difficile lettura, forse: «anche perché» oppure «affinché»] nuovi sviluppi, indirizzo politico, leghe ecc, mette la situazione della mafia, in Sicilia in difficoltà.
Strategia.
Creare intimidazione nei confronti di quei soggetti e Istituzioni stato (forze di polizia ecc.) affinché non abbiano la volontà di farlo e distogliere l'impegno dell'opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia.
Gli investigatori sottolineano che alcuni punti sono aderenti ai fatti che si verificheranno: l'uccisione di Lima è effettivamente una pressione su Giulio Andreotti; la strategia della tensione sarebbe durata fino a luglio del 1992; il piano prevede la creazione di un nuovo pericolo tale da distogliere l'opinione pubblica dal problema mafia, come accade con le stragi del 1993, non immediatamente percepibili quali bombe di mafia.
Il rilievo delle informazioni fornite da Ciolini – scrive il pm Antonio Ingroia – appare ancor più significativo se si tiene conto del fatto che egli attribuisce proprio alla massoneria ed alla destra eversiva, nazionale ed internazionale, un ruolo di primo piano nell'elaborazione del piano eversivo, così come – da una visuale diversa – hanno fatto vari collaboranti provenienti dalle file della criminalità organizzata.
Una seconda anticipazione sulla nuova «strategia della tensione» arriva invece dai piani alti della politica per mezzo di tre articoli di una poco conosciuta ma influente agenzia di stampa, la Repubblica. In uno degli articoli si ipotizza che l'omicidio di Salvo Lima sia leggibile all'interno di una logica separatista ed autonomista, anche se mai esplicitamente dichiarata […], [alla mafia] […] per diventare essa stessa Stato le risulta, quindi, sufficiente conquistare l'autonomia amministrativa e regolamentare, al fine di costituirsi come nuovo paradiso fiscale del Mediterraneo, portando alle estreme conseguenze le tecniche di «offshore» e di traffico commerciale (stavolta non più illegale) diretto a sfidare i dazi e le difese doganali dei Paesi confinanti […]. Paradossalmente, il federalismo del Nord avrebbe tutto l'interesse a lascia sviluppare un'analoga forma organizzativa al Sud, lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo.
Uno degli obiettivi a lungo termine sarebbe far diventare la Sicilia una sorta di «Singapore del Mediterraneo». L'assonanza con il papello e con le proposte di Vito Ciancimino è impressionante.
O l'autore di quell'articolo – continua il giudice Ingroia – ha avuto uno straordinario intuito, oppure, più realisticamente, coloro che si muovevano intorno all'agenzia della Repubblica avevano avuto, attraverso canali occulti, notizia di quanto stava accadendo, e non potendolo denunciare a chiare lettere, perché prigionieri del loro passaro di ricatti incrociati, lanciarono dei messaggi cifrati.
Sulla stessa agenzia di stampa compaiono altri due pezzi, quarantotto e ventiquattro ore prima della strage di Capaci.
C'è da temere, a questo punto – viene scritto nel primo pezzo analizzando l'impasse sull'elezione del presidente della Repubblica – che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale al colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo paese una metodologia d'uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno la «solidarietà nazionale» ed il sistema apparve anche allora bloccato, ci ritrovammo d'avanti il rapimento di Moro e la strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l'immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini o uno Scalfaro quirinalizzati.
Nel secondo pezzo invece si afferma:
Manca ancora, perché passi in modo indolore questa candidatura del «partito trasversale» qualcosa di drammaticamente straordinario. I partiti cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno – come ai tempi di Moro – a giustificazione di un voto d'emergenza, non potrebbero accettare d'autolegittimarsi. Per fortuna, i poteri delle brigate rosse e nere oggi sono roba da museo. E, comunque, i poteri dello Stato hanno accumulato esperienza e dimostrato professionalità.
Poche ore dopo arriva il «botto» di Capaci e al Quirinale finisce Oscar Luigi Scalfaro. L'autore degli articoli sarebbe verosimilmente Vittorio Sbardella, ras democristiano appartenente alla corrente di Andreotti, da cui uscirà di li a poco.
Non pare esserci dubbio: Capaci è un evento terroristico che nega ad Andreotti di diventare presidente della Repubblica e a Giovanni Falcone di diventare procuratore nazionale antimafia. L'obiettivo politico di escludere Andreotti dalla corsa al Quirinale è stato confermato da svariati pentiti, ma nessuno di loro ha mai spiegato il perché della scelta del metodo terrorista. Vito Ciancimino a fatto invece riferimento a un «architetto» come mandante delle stragi del '92. Sono anche certo – dichiara ai magistrati che lo interrogano – che vi era qualcuno particolarmente ostile alla candidatura di Andreotti: «si tratta di colui il quale io penso potrebbe essere stato «un architetto» del disegno politico che, tramite l'omicidio Lima e soprattutto le modalità eclatanti dell'uccisione di Falcone, aveva come obiettivo quello di «sconvolgere il Parlamento», così determinando le condizioni per fare eleggere un Presidente della Repubblica, naturalmente diverso da Andreotti. Io ho in testa il nome del possibile «architetto», ma non ne ho le prove per poterlo affermare e comunque non lo direi mai, anche perché, se costui è stato capace di tanto, né io, né i miei familiari potremmo mai essere al sicuro, dovunque».
Tre giorni dopo la strage, nel punto in cui si è appostato il commando dei killer viene trovato un biglietto: «Guasto numero 2 portare assistenza, GUS, via Selci numero 26, via Pacinotti». Segue un numero di cellulare: 0337/806133.
L'utenza telefonica risulta in uso a tale «Lorenzo Narracci, funzionario appartenente al Sisde, servizio segreto civile». Il Gus, Gestione unificata servizi, è una società di copertura dei servizi, e Narracci è stato vicecapo della struttura informativa di Palermo e ha lavorato con Bruno Contrada sia a Roma che a Palermo. Il Gus ha sede a Roma in via Selci, alle spalle del Sisde e di fronte al nucleo operativo dei carabinieri. In via Pacinotti, a Palermo, si trova la Telecom, e il «guasto numero 2» indica la probabilità di una clonazione in atto. Tante informazioni in un solo biglietto, forse troppe.
Chi può sapere in quel momento che alcuni mafiosi utilizzano cellulari clonati?
L'ipotesi di una convergenza di interessi di settori deviati dei servizi segreti – scrive il pm Tescaroli nella requisitoria sulla strage – viene corroborata dal rinvenimento di questo bigliettino […]. Quando, da chi e per quale motivo è stato fatto ritrovare in quel sito?
Molto tempo dopo il responsabile del Sisde di Palermo si presenta alla Procura di Caltanisetta. Spiega che quel foglietto l'ha dato lui a un collega che poi lo ha perso davanti al cratere di Capaci. «Era appunto sulla riparazione di un cellulare Nec P300 che qualcuno dei miei uomini deve avere perso durante il sopralluogo». Sono una distrazione dunque! Altri cellulari clonati, dello stesso modello a cui fa riferimento lo 007, vengono sequestrati nel 1993 in un appartamento di Palermo, rifugio di alcuni dei mafiosi che hanno partecipato alla strage, tra cui Gioè e Brusca.
Luigi Ilardo indica per primo Pietro Balsamo e Pietro Rampulla come i due probabili artificieri di Capaci. Rampulla, condannato per l'uccisione di Falcone, oltre che mafioso è un estremista di destra, in contatto con uomini dei servizi. Le indagini porteranno a Saro Cattafi, anche lui estremista di destra e in contatto con i servizi segreti, ma la sua posizione verrà in seguito archiviata.
«Il giudice Falcone – dice Ilardo a Michele Riccio, riferendosi quanto appreso dal mafioso Ciro Vara – era stato ucciso secondo la fonte non per il suo ruolo nel maxiprocesso di Palermo ma su mandato dell'On. Martelli, il quale agiva, probabilmente, su disposizioni di altro personaggio a lui superiore, Andreotti. Questo perchè il giudice Falcone in cambio del suo trasferimento a Roma con il conseguente incarico affidatogli e di quanto ancora promesso, non aveva sospeso le sue attività investigative su Palermo, archiviando o facendo archiviare le varie inchieste giudiziarie che potevano recare danno alla mafia ed ai suoi alleati politici. In tale ottica era stato ucciso anche il giudice Borsellino che era lo stesso referente di Falcone su Palermo il quale avrebbe potuto comprendere, i già sapere, il mandante dell'attentato mortale al collega amico».
La risposta di Ilardo appresa dal picciotto di Piddu Madonia Ciro Vara, viene dal ventre oscuro di Cosa nostra, dove una parola di verità può diventare calunnia e le tragedie sono moneta corrente.
È provato che il giudice pur trasferito a Roma al ministero di Grazia e giustizia, continuasse a interessarsi a inchieste siciliane. Nel novembre del '91, insieme a Gianni De Gennaro, Falcone ha un colloquio in carcere con il mafioso Gaspare Mutolo, che di lì a pochi mesi diventerà collaboratore di giustizia. Con i suoi racconti Mutolo incastrerà non solo l'ala militare corleonese da Riina in giù, ma anche alcuni insospettabili come il poliziotto Bruno Contrada e il giudice Signorino, che poi si toglierà la vita. È anche provato che il 13 marzo 1992, dopo l'uccisione di Salvo Lima, Falcone si sia recato negli Stati Uniti.
I due eventi possono intendersi come chiare attività investigative, di cui a dire di Ilardo non solo Cosa Nostra era a conoscenza, ma le aveva lette come una minacci da disinnescare. Secondo quanto riportato da Oriente, qualcuno aveva garantito in precedenza a Cosa nostra che Falcone, una volta lontano dalla Procura di Palermo, non si sarebbe occupato di inchieste «che potevano recare danno alla mafia e ai suoi alleati». La promessa non mantenuta sarebbe uno dei moventi della strage di Capaci: il giudice Falcone sarebbe morto perché ambienti politici non avrebbero saputo o voluto tenerlo a freno. Nelle parole dell'infiltrato c'è dunque la traccia di una garanzia non onorata, di un accordo mancato fra uomini dello Stato e mafiosi.
La sentenza d'appello sulla strage di Capaci afferma che, quando nel 1991 accetta l'incarico di direttore degli Affari penali propostogli dal guardasigilli Martelli, Falcone sapeva del patto politico-imprenditoriale avvenuto durante le elezioni del 1987 tra una parte del Psi, la holding Ferruzzi e Cosa Nostra. Per il suo trasferimento a Roma si impegnano personaggi del calibro di Salvatore Spinello, importante esponente della massoneria, membro della direzione nazionale del Psi e stretto collaboratore di Bettino Craxi.
A raccontarlo è lo stesso Spinello, nel corso di una conversazione telefonica intercettata nel marzo 1999: Falcone doveva morire, ma il Psi aveva preferito evitarlo decidendo di portarlo a Roma. Poi il giudice aveva continuato a «dare fastidio» e non c'era stato più nulla da fare.
Del trasferimento di Falcone agli Affari penali Spinello parla alla fine dell'estate 1990 con Angelo Siino.
Le indicazioni del Siino – scrivono i giudici d'appello per la strage di Capaci – aprono nuove ipotesi sulle sottese ragioni che avevano indotto a conferire al dr. Falcone l'alto incarico ministeriale, non potendosi escludere il reale interesse, conseguito con il suo trasferimento, di allontanarlo dalla Sicilia e così impedire ulteriori investigazioni idonee a scoprire intrecci politico-mafiosi-finanziari. Del resto, la proposta per il nuovo incarico, a prescindere e ferma restando l'iniziativa personale dell'on. Martelli, proveniva, per come esattamente osserva la pubblica accusa, da un'area politica che, nel passato, aveva dimostrato, a detta di molti collaboranti, di non essere impermeabile ad intese elettorali con Cosa nostra.
Ilardo sostiene che contro Falcone fosse stato progettato un attentato nel 1988.
Mi ricordo che quel periodo siamo stati attaccati alla televisione per sentire questa notizia ma poi dopo due giorni non si seppe nulla e solo dopo una settimana, quando Quartararo [un mafioso detenuto in quel periodo con Ilardo, nda] ritornò a fare il colloquio, si venne a sapere che la cosa era stata … non era stata fatta in quanto da parte dei politici era stata data assicurazione che FALCONE sarebbe stato bruciato politicamente; cosa che effettivamente fu, perché da li a circa due mesi-un mese e mezzo, i processi vennero tutti quanti assegnati per «libera suspicione» alle procure di competenza, a FALCONE che prima trattava solamente antimafia, processi di mafia, vengono assegnati processi di scippi, di rapine e di furto ed io ebbi modo di constatare queste cose, perché leggevo, seguivo molto attentamente la stampa e la televisione che davano notizie di tutto quello che succedeva, di quello che venni a sapere allora, anche perché dopo un po' di tempo, un giorno a colloquio, mia madre mi ebbe a dire che erano stati i socialisti che avevano effettivamente mantenuto la promessa di bruciare politicamente il giudice FALCONE, ed anche nell'ambiente carcerario si parlava che i socialisti erano riusciti ad avere molti voti nell'elezione dell'anno prima in Sicilia, avrebbero dato una certa sicurezza a livello di problemi della giustizia, in particolar modo in Sicilia. […] I discorsi collimavano perché io venni a sapere pure che nel 1987 i socialisti furono appoggiati in Sicilia, in tutte le provincie [...] in carcere a Palermo, ebbi modo di parlare con ragazzi di Catania, Con NATALE Emanuele, che mi disse che, addirittura a Monte Po, avevano fatto una sezione del Partito socialista per appoggiare l'on. Salvo ANDÒ, e che lui aveva promesso, una volta arrivato a Roma, determinati favori per appianare un po' la situazione.
Sulla base di quanto gli era stato riferito, Ilardo definisce un movente anche per la strage di via D'Amelio: Paolo Borsellino sarebbe stato eliminato perché in grado di «comprendere o sapere il mandante» della morte del proprio collega. Se così fosse, chi si sentiva minacciato dal lavoro di Falcone a Roma e chi aveva garantito alla mafia che ciò non sarebbe avvenuto sarebbe stato il mandante di entrambe le stragi. E il movente non sarebbe da ricercarsi in ciò che i due magistrati avevano fatto nel passato, ma in ciò che avrebbero potuto fare contro Cosa nostra e i suoi referenti.
Quel qualcuno – che è arduo immaginare con le stimmate del mafioso – teme fortemente quanto Falcone va annotando negli ultimi mesi di vita.
Ecco che i computer del giudice vengono manomessi. Il servizio centrale operativo della polizia non trova il portatile del magistrato, un databank Casio Sf 9500. qualche giorno dopo ricompare misteriosamente, ma privo di dati: l'intero contenuto è stato cancellato. Risulta scomparso anche un accessorio fondamentale: l'estensione di memoria che conteneva altri dati. Pure il computer nell'abitazione palermitana di Falcone risulta manomesso. Mani ignote operano fin nella stanza del giudice al ministero: sono andati smarriti alcuni supporti magnetici del computer, mentre da un altro portatile vengono eliminate le date originali dei documenti.
Il massacro di Capaci segna senza dubbio uno spartiacque nella memoria collettiva. Ma le immagini dello scempio non hanno colpito tutti nella stessa maniera. Nell'estate del 2009 Giugliano Amato, che il 23 maggio 1992 era da poco presidente del Consiglio, interrogato dalla Procura di Caltanisetta ricorda il governo, anche se era avvenuta la strage, era distratto nella lotta antimafia, e si aspettava che diventassero operativi il 41 bis e altri strumenti investigativi. La crisi economica rimane l'emergenza principale del Paese. Con buona pace di Falcone, di sua moglie e dei ragazzi della scorta.
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