Il «contorno» alla morte di Pio La Torre
21.05.2013 12:20
Quando nell’aprile del 1981, ebbe inizio la mattanza con l’esecuzione di Stefano Bontate, agli omicidi degli oppositori, Riina e i suoi sommarono i morti della seconda guerra di mafia. I decessi per morte violenta erano a Palermo il pane quotidiano. I cronisti dell’epoca raccontavano di una «città grondante di cadaveri», che spuntavano ad ogni angolo di strada. Si diffuse la percezione di una città in stato d’assedio. Questi attacchi armati a trecentosessanta gradi, comportavano la morte delle guardie del corpo, degli amici, dei familiari dei bersagli, e di chiunque si trovasse per caso a transitare nelle vicinanze.
Cosa Nostra non abbassa il livello dello scontro militare verso le istituzioni, e il mattino del 30 aprile del 1982 la Fiat 132 guidata da Rosario Di Salvo, con a bordo il segretario del PCI siciliano Pio La Torre, viene costretta a frenare la sua corsa dalla manovra spericolata di una motocicletta. Da questa partono decine di colpi che uccidono entrambi gli occupanti della Fiat. Di Salvo avrà il tempo di estrarre la pistola e di far fuoco a vuoto. Altri killer spuntarono da un’auto per finire il lavoro con i colpi di grazia. Con la scomparsa di La Torre viene a mancare molto più di una figura politica di altissimo spessore, ma un esponente di quella generazione del PCI siciliano autenticamente impegnato a costruire un futuro diverso per la propria terra. Uomo dalle origini contadine, schietto e attivo. Egli fu in prima linea nella storica opposizione popolare all’istallazione dei missili nucleari a Comiso. Quale membro della Commissione Antimafia, divenne il sottoscrittore insieme a Virginio Rognoni di una proposta di legge che rafforzava le disposizioni per una più efficace prevenzione patrimoniale e soprattutto, introduceva nel nostro codice penale il reato allora inesistente di associazione a delinquere di stampo mafioso, quello che oggi è l’articolo 416 bis; disegno di legge che si arenò lungamente nel suo iter procedurale in Parlamento. Vaste aree del popolo siculo vissero il delitto di La Torre in modo traumatico. Per molti che sognavano una alternativa alla torbida politica della DC, il leader PCI, rappresentava una speranza fatta di gesti concreti spesi al fianco della sua gente. Al suo funerale, in oltre centomila presenziarono al toccante e potente comizio di Enrico Berlinguer.
L’ex magistrato Giuseppe Ayala, componente dello storico pool antimafia con Falcone e Borsellino che istituì il maxi processo, nonché parlamentare per quattro legislazioni e sottosegretario alla giustizia dal 1996 al 2000, ha raccolto nel suo libro “Chi ha paura muore ogni giorno”, la storia degli anni da lui spesi a combattere la mafia, nonché i ricordi delle esperienze umane al fianco degli altri colleghi. In un passaggio relativo ai giorni seguenti la morte di Pio La Torre, Ayala racconta: «…Ci incontrammo senza appuntamento…nella stanza di Rocco Chinnici. C’erano Falcone, Borsellino, e gli altri. Non parlammo molto…le frasi erano brevi…più eloquenti erano gli sguardi…In realtà ciascuno aveva qualcosa da dire, ma a se stesso: succederà ancora».
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