Il caso Mattei

21.05.2013 11:39

 

 

La «cura ricostituente» a base di traffico di stupefacenti, ci ha restituito una Cosa Nostra potente e florida. Gli uomini d’onore divengono interlocutori internazionali, coinvolti sempre di più in affari non solo squisitamente mafiosi. Ed è proprio a questo riguardo che la vedremo protagonista in uno degli episodi che scosse maggiormente il mondo economico ma non solo agli inizi degli anni 60.
E’ la sera del 27 ottobre del 1962. Alle 18:59 il direattore dell’Ente Nazionale Idrocarburi, esplode in volo in località Bascapè, tra Pavia e Milano, un minuto prima dell’atterraggio. A bordo si trovavano Enrico Mattei, presidente dell’Eni, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano del Time, William Mc Hale. Perderanno tutti la vita. L’aereo è un modernissimo Morane-Sauner con sole duecentotrenta ore di volo (ne servono almeno cinquecento per una revisione). L’apparecchio verrà disintegrato dall’esplosione e integra verrà ritrovata la sola ruota del carrello d’atterraggio, lasciando presumere che l’ordigno fosse collegato al carrello stesso, attivatosi quando il pilota ha premuto il relativo comando in fase di discesa verso la pista. Nonostante questo, per 33 anni la versione ufficiale parlerà di causa accidentale, escludendo in modo categorico l'ipotesi di un attentato.
Si dovrà attendere il 1995 perché il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, imponga una svolta decisiva, stabilendo che l’aereo è saltato in aria in volo per le tracce di esplosivo riscontrate nei resti del velivolo e sulle salme. Il 20 febbraio 2003 il procuratore Calia ha chiuso l’inchiesta sulla morte di Mattei, chiedendo l’archiviazione per quanto riguarda esecutori e mandanti. L’aereo fu dolosamente abbattuto. Non si sono trovati i colpevoli. Nelle conclusioni del magistrato si legge anche che «la programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono il coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano». Per comprendere i motivi per cui in diversi abbiano per anni depistato le indagini e insabbiato la verità, occorre capire chi fosse Enrico Mattei e il suo ruolo nel panorama mondiale energetico di quegli anni.


«Il corsaro del petrolio»


Enrico Mattei nasce ad Acqualagna, un piccolo centro del marchigiano il 29 aprile del 1906. Si rivela presto un ragazzo sveglio e intelligente, con attitudini per la chimica e a venti anni è già direttore di una piccola conceria. Nel 1928 emigra a Milano, per aprire una sua piccola azienda che produce emulsioni per le lavorazioni del pellame tre anni più tardi. Nell’ambiente imprenditoriale sfoggia le doti di chi è destinato al ruolo di leader, per la risolutezza nelle decisioni e la capacità di cogliere al volo le situazioni. Frequentando gli ambienti della università Cattolica si avvicina al Partito Popolare, assimilando quei concetti che nel dopo guerra faranno di lui un uomo che intende dare al ruolo di imprenditore un volto anche sociale, di responsabilità verso il popolo, sposando un etica distante dal capitalismo puro di matrice anglo-americana. Sarà «un partigiano bianco» durante la resistenza, rivestendo vari incarichi di tipo organizzativo e militare nel CLN; viene arrestato nell’ottobre del ’44 ma riuscirà ad evadere grazie ad aiuti anche esterni.
Finita la guerra riceve l’incarico di commissario per l’Agip (Azienda Generale Italiana Petroli), con il mandato di chiudere le attività dell’ente e svenderlo. L’Agip di quegli anni era una società in crisi: scelte imprenditoriali sbagliate e scissioni al suo interno, venivano accentuate dalle pressioni di concorrenti nazionali privati (Edison), e internazionali ( cartello delle «7 sorelle»), tutti smaniosi di vederla fallire per conquistare fette di mercato. Puntando sul valore del patrimonio umano e selezionando i giacimenti estrattivi, risolleva le sorti dell’azienda. Le estrazioni di gas metano nel 1946 a Caviaga (vicino a Milano), di altro gas naturale a Ripalta (Cremona) e di petrolio a Cortemaggiore (Piacenza) nel 1949, pur di modeste quantità, danno impulso all’immagine dell’azienda ora con il logo del cane a sei zampe.

L’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), nasce ufficialmente nel luglio del 1952. Negli anni che verranno, Mattei guiderà l’ente con due obbiettivi: l’autonomia energetica dell’Italia e una via per acquistare il petrolio direttamente dai paesi produttori. Per queste ragioni entra in conflitto con il cartello anglo-americano delle «7 sorelle», che detiene il monopolio del mercato del greggio. Cerca contatti stipulando accordi vantaggiosi con paesi produttori come Libia, Marocco, Iran, Egitto, Nigeria, Ghana, Unione Sovietica e con L’Algeria, esprimendosi qui a chiare lettere anche sulla speranza di una sua rapida indipendenza dalla Francia. Stringe relazioni con nazioni del Terzo Mondo e in piena guerra fredda con la super potenza oltre cortina, arrivando a offrire ad alcuni paesi in via di sviluppo, condizioni come il 75 per cento del profitto al produttore e il 25 all’ENI. Costruisce i presupposti per un nuovo quadro mondiale sorretto sul commercio diretto tra paesi produttori e paesi consumatori di greggio, tagliando fuori coloro che dal 1928 ne detengono le redini del cartello planetario. La sua politica genera avversioni anche sul fronte nazionale, e attraverso i maggiori organi di stampa, le grandi famiglie industriali del paese lo criticano apertamente. Per contrastare i tanti nemici su questo fronte, Mattei finanzia nel 1956 il battesimo di una nuova testata giornalistica, «Il Giorno», nel preciso intento di creare una sorgente mediatica che lo sostenga. I suoi avversari continuano ad attaccarlo, accusandolo di corrompere i partiti politici e di pagare gli amici. Pochi mesi prima della sua morte, il giornalista Indro Montanelli sul Corriere della Sera, firmerà una inchiesta che mette a nudo i metodi corrotti del presidente dell’Eni. Una serie di articoli infuocati che denunciano le commistioni tre gli affari dell’industria petroli nazionale e il mondo politico. Molti anni dopo, lo stesso Montanelli dirà al riguardo di quella inchiesta: «Non è che Mattei pagava delle tangenti per avere questo o quel appalto, Mattei pagava i partiti perché facessero una scelta politica, si imponeva era lui il padrone. Mattei era un uomo che agiva in grande, non paragonabile ai corrotti e i corruttori di oggi». Gli ostacoli che insorgono anche dall’interno dell’ENI stessa si moltiplicano, ma la sua perseveranza e ostinazione, finisce comunque per costituire una minaccia reale per coloro che hanno enormi interessi a boicottare il suo progetto.
Un programma ambizioso e realisticamente complicato da portare a termine, ma uccidendolo si è voluto andare sul sicuro. Porre un freno alla politica di sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie del terzo mondo, perpetrate selvaggiamente nell’ultimo mezzo secolo, avrebbe contribuito a rallentare quel crescente sentimento di odio mossosi da quei paesi verso le potenze occidentali. Rivalsa che ha finito con l’alimentare quelle entità terroristiche oggi alla base dell’instabilità planetaria.
Con la scomparsa di Mattei muore anche questo suo sogno, forse privando noi tutti della speranza di un presente diverso. 



Una versione ufficiale non convincente


Con uno scenario di tale portata si sono susseguiti per anni teoremi e ipotesi di ogni tipo, anche se la teoria del complotto ha progressivamente preso il sopravvento. Le versioni ufficiali non si sono mai discostate fino al 1995 dalle cause accidentali. Governi, organi di magistratura, e persino una commissione d’indagine costituita nel ’62 dall’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti, hanno ribadito la tesi con una tale caparbietà, da alimentare con immutato vigore i dubbi di chi nel tempo non fu mai convinto da quella versione. 
E dire che gli elementi perché più di una domanda si sollevasse non sono mancati. 
Ma come troppe volte è accaduto in questo paese, le richieste di luce e verità giunsero da singoli uomini e non dalle istituzioni.


Nell’aprile del ’70 viene pubblicato un libro dal contenuto esplosivo, «L’assassinio di Enrico Mattei», per mano di due giornalisti: Fulvio Bellini e Alessandro Previdi. Pubblicato a loro spese, è l’unica voce di quel tempo a sostenere la tesi dell’attentato. Enrico Mattei trascorre gli ultimi 2 giorni della sua vita in Sicilia per far visita agli impianti petroliferi di Gela e Gagliano Castelferrato. Bellini e Previdi, forniscono una ricostruzione inquietante delle ore precedenti il decollo dell’ultimo volo di Mattei dall’aeroporto di Catania. «Verso le 13 un impiegato all’aeroporto di Catania comunica al pilota Bertuzzi che è chiamato al centralino per una telefonata». Bertuzzi oltre a pilotare il volo è l’addetto ai controlli su velivolo e rifornimento prima della partenza. Egli si allontana e «tre individui si avvicinano allora all’aereo, uno in divisa da carabiniere, il secondo con tuta bianca da tecnici; qualcuno li osserva maneggiare attorno all’apparecchio, l’episodio si esaurisce in pochi minuti».

Un lungo elenco di indizi


Partendo da quanto raccolto e scritto da Bellini e Previdi un altro giornalista, Mauro De Mauro de “ L’Ora “ di Palermo, raccoglie il testimone del bisogno di verità e inizia ad indagare. Dal suo lavoro emerge come l’operato di Mattei fosse nell’agenda di un vero intrigo internazionale: potenze petrolifere, esponenti della mafia Usa con agganci nella CIA, intelligence francese irritata per la questione algerina, Cosa Nostra, nemici italiani nascosti all’ENI, nel Parlamento, nell’Assemblea regionale della Sicilia: un globale nido di serpi. Mauro De Mauro verrà sequestrato dalla mafia il 16 settembre del 1970: il suo corpo non verrà mai ritrovato.
Lo scrittore siciliano Michele Pantaleone scopre che 4 portabagagli lavoranti all’aeroporto di Catania in quei giorni, rispondono ai nomi di 4 mafiosi elencati dall’antimafia americana. Pantaleone nell’inseguire in Inghilterra alcuni di loro riceve nel maggio del ’68 minacce di morte e tornato a Palermo 1 settimana più tardi, tentano di investirlo. 
La rivista “ Panorama “ nell’ottobre del ’62, scrive che Carlos Marcello era a Catania 2 giorni prima l’attentato, proveniente da Algeri e Tunisi, dove partecipò ad un incontro tra petrolieri americani e Badalamenti. Per la cronaca Carlos Marcello alias Calogero Minacori, è un immigrato siciliano in USA divenuto capo della mafia di New Orleans, esperto di traffico di armi ed esplosivi, coinvolto nell’assassinio Kennedy e collegato alla CIA. Sempre “ Panorama “ rivelò che a chi tentò di fermare i tre uomini verso l’aereo sulla pista di Catania, il presunto carabiniere si presentò come capitano Grillo. L’unico ufficiale Grillo allora presente nell’arma, prestava servizio a parecchi chilometri e si trattava di un Glauco Grillo di stanza in Piemonte.
Fonti autorevoli affermarono che a posizionare la bomba fosse stato un uomo dei servizi francesi, tale “ Laurent “ anch’egli a Catania nell’ottobre del ‘62. Pur avendo lavorato nella azienda costruttrice dell’aereo dell’ENI, la magistratura non lo interrogò mai.
Lo storico Nico Perrone ( autore del libro “ Mattei il nemico italiano “ ), sostenne che il congegno utilizzato per l’attentato era di una tipologia molto sofisticata, e che la sua fabbricazione richiedeva tecnici e laboratori in possesso solo a organizzazioni molto potenti. Sempre secondo Perrone, la morte di Mattei va inserita nel contesto della fase più delicata e drammatica della guerra fredda URSS-USA: un eventuale lancio di missili americani su Cuba, proiettava l’Italia come un probabile obbiettivo della ritorsione sovietica. Il Patto Atlantico esigeva il massimo della rigidità nelle alleanze, mentre Mattei con il suo programma energetico, si disinteressava degli schieramenti per occuparsi solo delle opportunità economiche. 



Le voci dei pentiti


Anche sul fronte delle dichiarazioni dei pentiti, il materiale per incitare l’istanza di approfondimenti fu cospicuo. Persino il boss dei due mondi Tommaso Buscetta rivelò retroscena interessanti: «Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei su richiesta di Cosa Nostra Americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. A muovere le fila erano probabilmente le compagnie petrolifere, ma ciò non risultò a noialtri direttamente, per eseguire un progetto così impegnativo c’era bisogno di personaggi di spicco come Stefano Bontate, Salvatore Greco chiese la collaborazione di Antonio Minore (boss di Trapani), Bernardo Diana, Giuseppe di Cristina di Riesi nei pressi di Catania e poteva fornire gli appoggi necessari».

Il contatto con Mattei fu stabilito da Graziano Verzotto che rappresentava l’Agip in Sicilia.
Secondo Buscetta l’aereo fu manomesso durante una battuta di caccia in cui Mattei fu invitato a partecipare da alcuni giovani mafiosi presentati da Verzotto stesso.

Un espediente classico di Cosa Nostra: quando si deve compiere un’esecuzione, la vittima deve essere avvicinata da un amico che dissipa i suoi sospetti, la tranquillizza, ne facilita l’eliminazione. Si riuscì ad illuderlo di godere della protezione della mafia e a non preoccuparsi, di conseguenza, di rafforzare la vigilanza attorno a sé e all’aereo.
Venendo ad epoche più recenti, anche il collaboratore di giustizia Gaetano Grado, in merito al rapimento di De Mauro oggi dice: «Stefano Bontate» mi disse che De Mauro si immischiava in cose di mafia, cioè nell’attentato a «Enrico Mattei», eseguito da «Cosa Nostra siciliana per fare una cortesia agli americani perché c’erano interessi di petrolio».

Anelli mancanti


Nulla di tutto questo e altro ancora che emerse negli anni da indiscrezioni di vario genere, fu sufficiente ad attivare indagini in altre direzioni. Se bastassero «tre indizi per fare una prova», sul coinvolgimento della mafia quanto meno come fornitrice di un appoggio logistico all’attentato, non sembrerebbero esserci dubbi. 
Il teorema di De Mauro probabilmente stilava una versione dei fatti pericolosamente vicina alla verità. 
Nell’estate del ’70, Igor Man allora editorialista della «Stampa» di Torino, incontra a Mondello il giornalista siciliano, che sta alacremente lavorando su questa inchiesta per puntare al premio Pulitzer. 
In una confidenza di De Mauro, Man forse ci consegna una sintesi di quella verità : «Ho una catena, mi mancano due o tre anelli di congiunzione, se li trovo faccio lo scoop del secolo. Sto ricostruendo il caso Mattei, ti debbo dire che ci sono dentro tutti: i politici, gli stranieri, la CIA, e ahimè pure la mafia».

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