Il «boss dei due mondi»

21.05.2013 12:38

 


Tommaso Buscetta era stato arrestato dalla polizia brasiliana ad inizio estate del 1984, in base ad un mandato di cattura internazionale emesso dall’Italia un paio di anni prima. Giovanni Falcone si recò a Brasilia per interrogarlo, ma invece di ricevere il tipico atteggiamento omertoso del mafioso che nega l’assoluto, quando chiese a Buscetta di parlare della mafia, con sorpresa si sentì rispondere: «Ci vorrebbe una notte intera signor giudice mi scusi, ma sono stanco».

Uno degli uomini d’onore storicamente più celebri di Cosa Nostra, lasciava trapelare la disponibilità a collaborare. Troppo bello per essere vero. Ma così andò. Alcune settimane più tardi venne estradato in Italia, e durante il viaggio fu sventato un suo tentativo di suicidio.

Gli interrogatori si tennero da luglio a settembre di quello stesso anno, tutti verbalizzati a mano in modo impeccabile, senza errori o cancellazioni dal giudice Falcone. Perché una figura di tale spicco decise di attraversare il fiume, di compiere la scelta in assoluto più infamante per un uomo d’onore?
Egli si trovava alle strette, ma Riina e i corleonesi avevano emesso una sentenza di morte a suo carico, ma non riuscendo ad eseguirla perché fuggito in sud America, uccisero per rappresaglia due suoi figli maschi, il marito della figlia, un cognato, il fratello e un nipote. Un massacro. Tutti i suoi alleati erano stati eliminati e non poteva contare sull’aiuto di nessuno per organizzare la vendetta che desiderava. Optò di farsi giustizia attraverso i giudici, ma quasi certamente non l’avrebbe fatto se non avesse incontrato una persona di cui si fidava. Giovanni Falcone fu quella persona.

Buscetta puntualizzò che non si trattava di un pentito, in quanto non rinnegò mai l’adesione a quel codice d’onore vitae, che i mafiosi sottoscrivono con l’iniziazione. Era un uomo d’onore che aveva scelto di parlare, perché riteneva che quello stesso codice fosse stato infranto dai suoi ex compagni, realizzando un indiscriminato e barbaro bagno di sangue ben aldilà di ogni regola. 
In molti cercarono a posteriori d’interpretare la mossa di Buscetta, come l’estrema rabbiosa reazione di un uomo messo all’angolo, senza alternative. Una chiave di lettura non corretta. Poteva optare per il silenzio e nessuno sarebbe mai riuscito ad estorcergli una virgola.

«Don Tommasino» non si era lasciato sfuggire che il proprio nome dinanzi ad una polizia brasiliana che gli strappò le unghie, minacciò di buttarlo giù da un aereo in volo, lo torturò con le scariche elettriche. Ed è anche in questa direzione che l’immensa statura di Giovanni Falcone deve essere celebrata. Un uomo di enorme sensibilità e intelligenza, dotato di una raffinata capacità di comprensione dell’animo umano, prima che un grande giudice istruttore.

La collaborazione di Buscetta come abbiamo già ripetuto, segna una sorta di linea spartiacque tra la passata e la moderna concezione e chiave di lettura della mafia. Nella sostanza, il contenuto delle sue dichiarazioni seguivano due indirizzi prioritari: un racconto che ripercorreva gli eventi partendo dalla strage di Ciaculli del 1963, e una dettagliata ricostruzione della struttura mafiosa, con le regole e i rituali di comportamento scritti e non, su cui si appoggiava.

Per la prima volta, magistrati e uomini dello Stato, avevano accesso ad una terrazza esclusiva sull’intero universo mafioso, godendo di un punto di vista potenzialmente inarrivabile, e per voce di uno dei suoi storici leader. Un viaggio terribile e angosciante in un mondo di crimini comuni e uccisioni eccellenti, di cerimonie d’iniziazione e giuramenti insolvibili.

La possibilità di effettuare una mappatura di Cosa Nostra (termine usato dagli affiliati per nominare l’organizzazione dall’interno), di conoscerne la struttura piramidale al cui vertice vi è un cervello chiamato “commissione” o “cupola”, e al di sotto del quale si estende una fitta rete territoriale suddivisa per famiglie, alla quale è affidata la gestione degli affari e reati ordinari. Falcone ed il pool trovano materiale incessante per completare quella sorta di puzzle che avevano imbastito.

Riscontri su indagine avviate, impulsi che si diramavano in svariate direzioni per nuove inchieste e soprattutto nomi e cognomi legati a fatti, date, luoghi.
Tanto lavoro da svolgere in fretta e bene perché si presentava una occasione irripetibile. Efficienza e precisione per bruciare le tappe e posizionare le tessere mancanti al posto giusto, fino a quando era possibile conservare quella segretezza, che poneva mai come ora la giustizia nelle condizioni di giocare d’anticipo. L’esito del “blitz di San Michele” fu il trionfale riscontro a tanto lavoro così ben eseguito.

Le reazioni più entusiaste al successo dell’operazione, vennero manco a dirlo dall’estero più che dall’Italia. Tra i paesi stranieri che dedicarono maggiore risonanza gli Stati Uniti, che divennero negli anni una autentica seconda patria professionale per il giudice Falcone. Il suo lavoro fu apprezzato a tal punto che una sua statua fu eretta nel vestibolo della scuola del FBI di Quantico, in modo che tutti i venturi agenti vi scorressero dinanzi almeno per un paio di volte al giorno. Dal futuro sindaco di New York Rudolph Giuliani, al futuro numero uno dell’FBI Charles Rose, tante le personalità del mondo politico e giudiziario americano, che intavolarono un lungo e sincero rapporto professionale e umano con il nostro magistrato e tutto il pool.

Si pensi che successivamente alla morte di Falcone, il Congresso americano votò una risoluzione che rivendicava la sua uccisione come «Un delitto commesso anche in danno degli Stati Uniti d’America». Vedremo più avanti quanto distante fu il trattamento riservato a Giovanni dal nostro paese. Per ora serve dire che decisamente più tiepide furono le reazioni in patria a questa ondata di arresti, e anche qui Roma, molto più benevola di Palermo. Cosa Nostra e la sua sfera d’influenza accusò il colpo, ma attivò in tempi brevi una lunga campagna per delegittimare la fonte, adducendo a Buscetta problemi di salute, e sminuendo il significato della sua collaborazione.

Cercarono di minare la credibilità del boss in quanto pentito, ritenendolo da troppo tempo lontano dall’Italia per poter essere affidabile. La stampa siciliana in gran parte, e in qualche caso nazionale, seguirono la stessa corrente. L’habitat mafioso cercava di giocare tutte le sue carte per colpire la credibilità di un maxi processo che era nell’aria. 


La collaborazione di Buscetta ebbe un altro effetto collaterale, l’insorgere di uno spirito emulativo da parte di altre figure che dopo il golpe corleonese, vivevano nella medesima condizione di braccati di quella del boss dei due mondi. Fu il caso di «Totuccio» Contorno, che previo autorizzazione di Buscetta, iniziò a sua volta a parlare senza sosta. Il risultato delle sue confessioni, condusse ad una nuova ondata di 127 mandati di cattura. Altri blitz, altri arresti, nuovi nomi tra le sbarre e una Cosa Nostra sempre più nervosa e preoccupata.

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