Il «blitz di San Michele»
21.05.2013 12:37
Caponnetto seppe comunque conquistarsi anche la fiducia ed il rispetto di molti che sedevano ai vertici del Palazzo. La sua era un leadership impostata al coordinamento, autoritaria ma senza imposizioni. Creava le migliori condizioni perché ognuno dei suoi uomini lavorasse al meglio. Li proteggeva dagli attacchi esterni e non dava mai ordini specifici.
In breve tempo la mole di procedimenti che usciva dal suo ufficio istruttorio, si riversò sulle scrivanie della procura diretta dal giudice Pajno, ove operava tra gli altri Giuseppe Ayala. I due uffici affinarono la simbiosi, e questa macchina operativa contro la mafia entrò presto a massimo regime. La risonanza del suo operato era destinata ad una esplosiva impennata quando il 29 settembre del 1984, il giudice Antonino Caponnetto indisse una conferenza stampa, per annunciare che Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, stava da tempo collaborando con la giustizia.
A seguito delle indagini avviate dalle sue dichiarazioni, previo adeguati riscontri, vennero emessi 366 mandati di cattura, ognuno dei quali documentati ampiamente. Al termine degli arresti i latitanti risultarono solo una piccola percentuale. La più importante operazione antimafia del XX secolo, venne ribattezzata il “blitz di San Michele”.
Il pool riuscì a garantirne la fase più delicata, impedendo la fuga di notizie per avvalersi di quel effetto sorpresa che avrebbe lasciato di stucco intere famiglie mafiose, trasferite direttamente dalla propria casa in sette carceri di massima sicurezza in varie zone del paese. Non una virgola era trapelata prima del dovuto, evento rarissimo, che assumeva dell’incredibile al cospetto della vastità dell’azione.
Nessuno dei catturati venne incarcerato a Palermo, «nell’hotel Ucciardone», chiamato così per le troppo agevoli condizioni ambientali che godevano gli esponenti di spicco di Cosa Nostra. Anche in questi particolari s’intravedeva una diversa impronta rispetto al passato. Pur trattandosi di una operazione di proporzioni storiche, a fare la differenza fu la qualità degli uomini che la condussero. Essi avevano messo la loro intelligenza e professionalità interamente al servizio dello Stato, senza ambiguità o compromessi. Il piatto forte poi, era fornito dal prestigio degli arrestati, nomi altisonanti del calibro di Vito Ciancimino e dei cugini Nino e Ignazio Salvo.
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