«Fare la guerra per poi fare la pace»
21.05.2013 13:14
Filippo Malvagna è nipote del boss di Catania Giuseppe Pulvirenti, noto anche come «u malpassotu». Egli affermerà che la dichiarazione di guerra allo Stato da parte di Cosa Nostra, fu deliberata sul finire del 1991, nel corso di una riunione ai vertici tra tutti i capimafia della Sicilia, presieduta dallo stesso Salvatore Riina. Un incontro inserito in un cartello denso di appuntamenti che si tennero tra il novembre del ’91 ed il febbraio del ’92, ribadito dalle testimonianze di altri pentiti come Leonardo Messina e Ciro Vara. Altre fonti concentrano queste riunioni nell’agosto-settembre sempre del 1991.
Teatro delle riunioni furono varie località della provincia catanese, così come Enna. Tema centrale, l’esigenza di dare una forte risposta alle pressanti azioni che lo Stato stava muovendo verso l’organizzazione, dinanzi al verificare che le antiche intese istituzionali non offrivano più riscontri. Riina si ispira alla realtà colombiana e vuole alzare il tiro dello scontro. Il suo motto diventa «Con lo Stato bisogna prima fare la guerra per poi fare la pace».
A margine della definizione del disegno stragista si manifesta la ricomparsa di un antico sogno mafioso: la formazione di un «partito nuovo», composto da massoni e uomini d’onore appartenenti alla società che conta, in grado di traghettare l’organizzazione verso l’ambizioso desiderio di «uno stato indipendente del Sud, all’interno di una Italia separata in tre Stati». Come rivelerà sempre il pentito Leonardo Messina a Paolo Borsellino nel giugno del 1992, era in atto un vero progetto eversivo che nei sogni di Riina doveva tramutarsi in un «Cosa Nostra che si farà Stato». Un progetto utopico, quale lampante esempio di una delirante deriva, ma inserita in un contesto politico dove la percezione di una generale incertezza induceva a ritenere realizzabile ogni miraggio.
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